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Vitale da Bologna in Friuli

Melania Lunazzi

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Si è concluso il restauro (reso possibile grazie alla famiglia Frigimelica e alla Fondazione Crup) di uno degli affreschi più importanti del Trecento in Friuli Venezia Giulia, quello della Crocifissione nel Duomo di Spilimbergo. Opera della bottega di Vitale da Bologna, già autore in prima persona di un ciclo affrescato con le Storie di San Niccolò nel Duomo di Udine (1350 ca), la Crocifissione spilimberghese aveva subito diversi interventi di restauro già a partire dalla seconda metà del XIX secolo e lungo tutto il Novecento, quando si procedette allo stacco a causa di infiltrazioni di umidità.

Dopo il terremoto del Friuli del 1976, che aveva compromesso sia la chiesa sia i dipinti, lo Stato si fece carico di un intervento strutturale sulla staticità del Duomo e di altri restauri all’affresco avvenuti tra il 1979 e il 1984. Infine il 2015: per tre mesi e mezzo una squadra di trenta persone, tra restauratori, esperti e storici dell’arte ha lavorato sul dipinto murale di sette metri per tre, non senza tener conto degli interventi integrativi precedenti, che in alcune parti costituiscono l’unica memoria delle tracce originali.

Proprio a causa dei numerosi ritocchi sovrapposti, il recente restauro ha cercato di affrontare la pulitura con un criterio graduale e selettivo nel recupero della materia originale. «La reintegrazione pittorica è stata la fase più impegnativa, dice il restauratore Stefano Tracanelli, condotta tenendo sempre in considerazione i due criteri principali della teoria del restauro propugnata da Cesare Brandi: ricostruzione limitata a ristabilire l’unità potenziale dell’opera mutilata e possibilità di riconoscimento dell’intervento di restauro sull’opera originale. Pertanto il ritocco ha costantemente mirato all’integrità dell’opera originale, misurandosi con il grado di usura generale e mantenendo la coerenza tonale. Fra i molti dettagli figurativi originali emersi dalle puliture (linee di profili, incisioni, incarnati, battute di spaghi e quant’altro legato alla tecnica pittorica) va rilevato come tutti i restauri abbiano mantenuto il titulus crucis inchiodato al legno verticale, che superava l’asse orizzontale della croce. In fatti il cartiglio (tavoletta in questo caso) è fissato su cuneo a sua volta posato sul legno verticale che non supera di molto quello orizzontale».

Melania Lunazzi, 23 agosto 2016 | © Riproduzione riservata

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