«Villa e Parco Pisani, Stra, 1721-1756» (particolare). Da «Il libro di Padova» di Vincenzo Castella

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«Villa e Parco Pisani, Stra, 1721-1756» (particolare). Da «Il libro di Padova» di Vincenzo Castella

Vincenzo Castella: uno sguardo impercettibile

L’artista racconta la sua ultima mostra a Padova. Un viaggio a trama libera

Fino all’8 gennaio 2023 l’Orto Botanico di Padova, uno dei più antichi al mondo, ospita le fotografie con cui Vincenzo Castella (Napoli, 1952) racconta la città in modo unico: attraverso le infinite variazioni del patrimonio vegetale dell’Orto, la solennità delle pitture e degli affreschi sparsi negli edifici religiosi, la complessità dei volumi architettonici e la ricchezza storico-culturale dell’Università. Tuttavia, è bene precisare che non si tratta di una restituzione reportagistica o sociologica di Padova, tanto meno di una celebrazione pittoresca, da cartolina, delle sue bellezze. Piuttosto, la mostra personale, intitolata «Il libro di Padova» e curata da Salvatore Lacagnina, offre un viaggio che, senza curarsi della linearità del tempo, dei rapporti di causa ed effetto, delle gerarchie fra l’immenso e l’impercettibile, lascia parlare le cose simultaneamente, con una trama libera.

Abbiamo parlato con l’autore delle peculiarità dell’immagine fotografica, del complesso rapporto con lo spazio, soprattutto quello urbano, di come l’immagine ci spinga a riflettere su ciò che vediamo e selezioniamo, ma anche sull’importanza di ciò che resta fuori dall’inquadratura.

«Il libro di Padova» non nasce da subito come una mostra. Qual è l’origine di questo progetto così ambizioso?
Il titolo era inizialmente per un libro sulla città di Padova, poi è diventato «Il libro di Padova». È come un itinerario, un attraversamento simbolico e non pretende di raccontare tutti gli innumerevoli tesori storico-culturali presenti nella città. L’Orto Botanico ne segna la partenza e il ritorno. Il libro è edito da Silvana Editoriale e voluto dalla Maison Hermès come omaggio alla città.

Com’è stato progettare una mostra all’interno degli spazi dell’Orto Botanico?
È stato molto soddisfacente avvalersi della collaborazione del Direttore dell'Orto Botanico Carlo Calore e del suo staff, seppur impegnativo perché si trattava di visualizzare il percorso logico del libro estraendone gli episodi visivi che io ritenevo più rilevanti. Adattare tutto questo a degli spazi importanti ma non disegnati direttamente come spazi espositivi è stato molto immersivo.

In che modo ha sperimentato con il formato, il supporto e i materiali delle fotografie?
I formati intesi come rapporto proporzionale (aspect ratio) sono quelli che utilizzo normalmente per le mie immagini. Uno è moderatamente rettangolare e l’altro, molto più «panoramico», che adotto da sempre per raccontare lo sviluppo dello spazio definendo all’interno del quadro le relazioni tra oggetti distanti. La vera sperimentazione è stata la scelta del tipo di carta delle stampe: molto trasparente, senza cornici, lasciata pendere liberamente per segnalare una presenza più tridimensionale dell’immagine nello spazio. Queste immagini di grande dimensione (310 x 110 cm) sono tutte verticali e ravvicinate.
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Lei è un fotografo noto per la ricerca sull’urbano. Invece, nel suo racconto su Padova, la città (così come la intendiamo) manca quasi del tutto. Da dove scaturisce questa scelta?
Padova è una città bellissima che diventa per metafora come una pianta succulenta in un Orto Botanico, che è l’immagine di copertina e che rappresenta il filo che introduce a un itinerario fatto di antiche pitture murali, luoghi di arte antica e collezioni botaniche, un rimbalzo che mi ha affascinato fino dall’inizio del progetto: usare la fotografia non per raccontare quello che vediamo ma per creare delle connessioni, delle cerniere per la conoscenza. La fotografia come linguaggio non è soggetta a un processo evolutivo; di fatto sul piano del pensiero e delle storia dell’arte, esisteva ben prima che venisse scoperta. Si occupa delle relazioni dentro e fuori il formato, ci spinge a riflettere  attraverso l’ordine e il disordine su quello che esiste dentro l’inquadratura e «fuori campo» e ci suggerisce l’importanza di quello che non vediamo.

Che cosa cambia nell’osservare la città, la natura o i dipinti antichi?
Vorrei dire che non c’è nessun cambiamento, ma nella realtà l’oggetto verso cui si guarda è fondamentale perché è una dichiarazione, non è importante solo il modo in cui l’osservazione fotografica si sviluppa, ma la scelta stessa degli «oggetti» informa sulle intenzioni e le scelte politiche dell’autore e poi tutto diventa compiutamente «soggetto».

Quanto è importante il concetto di trasparenza?
Molto, perché suggerisce l’andare attraverso, andare oltre l’immagine stessa. Richiama il concetto dell’immediato, che significa interno ed esterno nello stesso momento. La scrittura con la luce implica delle modalità di dialogo tra l’immagine e chi guarda. Esiste una modalità più narrativa che prescrive una risposta precisa da parte dell’osservatore e una modalità più aperta, più «trasparente» che è quella che in questo momento mi interessa.
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Perché ha deciso di lavorare con obiettivi pittorialisti?
Per amore verso il Modernismo e il Secessionismo. In realtà mi interessa l’idea della figura che passa attraverso il vetro degli obiettivi e produce una larga immagine circolare (l’obiettivo produce un cerchio di luce circolare) dentro questa osservazione esistono le possibili soluzioni delle figure che diventano poi immagine. In questo momento di comunicazione fatto di transizioni linearizzate e aumentate, di dittatura tecnocratica dei software e creatività coatta, inserire dei tratti di aberrazioni sferiche, di passaggi d’aria e di attenzione a dettagli minori mi sembra giusto.

Quale difficoltà implica lavorare con la pellicola oggi?
Sempre di più rispetto a qualche anno fa, ma non significa che non possa essere usata, ci sono molte riduzione e intoppi, ma in fondo si tratta di adattarsi a rinunciare alle alternative per poter mantenere quello di cui non si può fare a meno.

Quanto è importante lo spazio vuoto fra le immagini? E quanto la ripetizione di alcuni elementi all’interno di immagini diverse?
Io credo che nelle immagini che nascono in un contesto di comunicazione definito, gli spazi vuoti sono ridondanti e pericolosi perché possono distrarre dal risultato primario e far nascere sospetti e domande che non devono essere provocate. Ma questo è proprio il mio obiettivo! L’inversione e la contaminazione tra spazio negativo e spazio positivo è un’ipotesi di lavoro.

Museo di Geologia e Paleontologia, Palazzo Cavalli. Palme fossili. Da «Il libro di Padova» di Vincenzo Castella

Orto botanico. Il pandano (Pandanus tectorius Parkinson ex Du Roi) nella serra subtropicale del Giardino della Biodiversità. Da «Il libro di Padova» di Vincenzo Castella

Gabriele Sassone, 19 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

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