Vendere la pelle a caro prezzo: legalmente impossibile

La trama di un film tunisino che trae spunto da un’opera di Wim Delvoye narra di un contratto irrealizzabile perché il corpo umano non può essere usato come merce per trarre profitto

Uno still dal film «L’uomo che vendette la sua pelle» (2020) di Kaouther Ben Hania
Gloria Gatti |

«L’uomo che vendette la sua pelle» è il film (presentato nel 2020 ma distribuito nelle sale cinematografiche italiane dal 7 ottobre scorso) della regista tunisina Kaouther Ben Hania candidato nel 2021 all’Oscar come miglior film straniero. Il film racconta la storia di Sam Ali, un rifugiato siriano che per ritrovare la sua amata Abeer, mandata in Europa per allontanarla da lui, accetta di farsi tatuare sulla schiena un visto Schengen e di trasformarsi in «una merce, una tela, così ora può viaggiare in tutto il mondo. Perché nei tempi in cui viviamo, la circolazione delle merci è molto più libera della circolazione degli esseri umani».

A comprargli la pelle è il mefistofelico artista vivente più pagato al mondo, che per contratto gli riconosce un terzo del prezzo ricavato per ogni sua vendita o rivendita. Il pagamento, però, è condizionato alla sua «collaborazione in perfetta buona fede», e, quindi, Sam dovrà «essere sempre disponibile e puntuale per tutte le mostre previste», come raccomanda il suo art lawyer al telefono. Il personaggio di Sam è dichiaratamente ispirato a Tim, ossia alla vera schiena tatuata di Tim Steiner, un’opera vivente creata nel 2006 da Wim Delvoye, che compare anche in una scena del film nella parte del cinico assicuratore dell’opera che augura a Sam una vita «lunga a sana» e illustra i rischi di una polizza in cui l’opera è sul corpo di un essere vivente.

Quella per Sam non è un’assicurazione fine art, ma una polizza infortuni che copre il rischio che un evento dannoso o la morte comprometta o distrugga la sua schiena, esattamente come quelle che vengono stipulate per proteggere la voce di un cantante lirico o le gambe dei calciatori. «Un cancro andrebbe bene», invece «se Sam morisse in un’esplosione, questo sarebbe un bel danno per la compagnia assicurativa», dice Delvoye.

Tim è stato esposto nei più grandi musei del mondo (al Louvre nel 2012 pare l’abbia visto anche la Ben Hania) e ha già venduto la sua pelle per 150mila euro alla collezione Reinking di Amburgo a cui, alla sua morte, passerà la sua schiena tatuata e plastilinata; Sam, invece, è stato esposto al Musée Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles e la sua pelle è molto più costosa: viene battuta in asta a 5 milioni di dollari.

Ma, ben prima di Tim e di Sam, la pelle tatuata «ad arte» era già stata processata negli anni Sessanta dal Tribunale di Parigi, nel caso noto come l’affaire «la rose tatouée». Un’attrice minorenne aveva stipulato un contratto a scopo di lucro con un produttore cinematografico accettando di farsi tatuare su una natica una rosa destinata a essere rimossa e venduta all’asta dopo l’uscita del film. L’accordo è stato ritenuto illecito e la sentenza ha ordinato la cancellazione della scena e la restituzione del lembo di pelle.

La decisione applicava l’art. 1128 del Code Civil: il divieto di concludere accordi che coinvolgano tutto o parte del corpo umano (res extra commercium). Lo stesso principio è condiviso dal Codice Civile italiano, che all’art. 5 prevede che «gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume».

Tuttavia, nella Relazione del Guardasigilli, il trapianto di pelle è parificato alla trasfusione di sangue e non qualificato come una menomazione permanente, ma resta comunque illecito se non è compiuto come atto di liberalità. Quel contratto, quindi, non avrebbe potuto essere validamente concluso secondo il diritto italiano e neppure in nessuno dei Paesi aderenti alla Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina di Oviedo del 1997 che sancisce il divieto di commercializzare il corpo umano e vieta di conseguire un profitto dall’utilizzazione del corpo umano e delle sue parti o di utilizzarli come merce, come è stato fatto per Sam.

Sembra invece che il film «Nemici per la pelle», diretto da Denys de La Patellière nel 1968, in cui due avidi mercanti d’arte si contendono la pelle della schiena di un legionario, interpretato da Jean Gabin, sulla quale è tatuato un autentico ritratto di Amedeo Modigliani, non fosse ispirato al caso de «la rose tatouée» ma al racconto Pelle pubblicato da Roald Dahl nel 1952, in cui un uomo povero aveva tatuato sul dorso un ritratto della moglie a firma Chaïm Soutine, che avrebbe potuto vendere a caro prezzo, ma solo togliendosi la vita. Anche noi «Auguriamo a Sam una vita lunga e sana».

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