Van der Goes dipinse prima della follia

La retrospettiva di Hugo van der Goes alla Gemäldegalerie confuta le allusioni dei critici alla malattia mentale del geniale pittore

«Caduta dell’uomo/Peccato originale» (1477/79 ca), dal dittico di Vienna di Hugo van der Goes (particolare). Vienna, Kunsthistorisches Museum. © KHM-Museumsverband
J.S. Marcus |  | Berlino

I pittori olandesi del XV secolo crearono un nuovo tipo di Realismo scoprendo come utilizzare la nuova tecnica ad olio per rendere gli effetti della luce. I loro progressi arrivarono fino in Italia, modificando il corso del Rinascimento, ma gli artisti stessi finirono perlopiù nell’oblio. Riscoperti nel XIX secolo e oggetto di infinito fascino per i fondatori della nuova disciplina della storia dell’arte, figure venerate come Jan van Eyck, Rogier van der Weyden e Hugo van der Goes restano oggetto di studi approfonditi e di dibattiti accademici.

A Van Eyck e Van der Weyden sono state dedicate mostre importanti nell’ultimo decennio. Ora è la volta di Van der Goes, l’autore del «Trittico Portinari», senza dubbio l’opera nordeuropea più importante della Galleria degli Uffizi, le cui dimensioni imponenti e il cui epico nitore stupirono la Firenze del Quattrocento quando giunse in città nel 1483. Van der Goes era morto l’anno prima in un misterioso stato di follia.

Dal 31 marzo al 16 luglio
la Gemäldegalerie ospita la prima mostra monografica dell’artista. «Hugo van der Goes: tra dolore e beatitudine» riunisce dieci dei 12 dipinti oggi attribuiti all’artista, oltre ai due disegni concordemente riconosciuti di sua mano, e concede l’opportunità unica di vedere l’opera monumentale di Van der Goes conservata a Berlino, la scena dell’«Adorazione dei Magi» dell’«Altare Monforte» (1470 ca), accanto al «Dittico di Vienna» di piccole dimensioni (1479 ca), il cui pannello con la «Deposizione» mostra l’influenza di Van Eyck e di un «Compianto» nello stile di Van der Weyden.

I curatori hanno poi approfondito il suo posto nella storia dell’arte occidentale con circa 50 opere aggiuntive di predecessori come Van der Weyden e Dieric Bouts, oltre a una serie di seguaci di Van der Goes. Il trittico degli Uffizi e l’«Altare della Trinità» (1478-79), conservato nella Scottish National Gallery, sono troppo fragili per viaggiare e figurano in mostra come riproduzioni fotografiche a grandezza naturale. Opere perdute, come una seconda versione dell’«Adorazione dei Magi», sono ricordate con copie quasi contemporanee.

Con Van Eyck e Van der Weyden, il principale argomento di disputa è l’attribuzione; con Van der Goes è la cronologia. In una vita lavorativa durata poco più di un decennio, egli realizzò numerosi capolavori di grandi dimensioni e di diversa natura, dapprima in una bottega di Gand e poi in un fiorente laboratorio all’interno di un monastero vicino a Bruxelles, dove entrò come fratello laico in un periodo che gli studiosi ritengono debba essere compreso tra il 1475 e il 1477.

I curatori ritengono, ad esempio, che il «Trittico Portinari» sia stato realizzato un po’ più tardi di quanto sostenuto da altri studiosi, portando come prova l’ipotesi secondo la quale i supporti lignei dell’opera degli Uffizi sarebbero stati eseguiti nella stessa falegnameria delle opere tarde di Berlino e Bruges. Ciò suggerisce che, sebbene la pala d’altare sia stata progettata a Gand, sia però stata eseguita, cosa fondamentale, all’interno del monastero.

Molti studi su Van der Goes sono stati influenzati da un resoconto dei primi anni del XVI secolo sulla sua strana depressione e sul suo apparente tentativo di suicidio, scoperto negli anni Sessanta del XIX secolo e poi raffigurato in un dipinto del pittore belga di storia Émile Wauters intitolato «La follia di Hugo van der Goes» (1872). Anche quest’opera, che affascinò Vincent van Gogh, è esposta a Berlino.

«Che un dipinto sia stato realizzato nel 1470 o nel 1480 non ha molta importanza, afferma il cocuratore Stephan Kemperdick. Ma nel caso di Hugo van der Goes sì, perché la gente cerca tracce di follia nelle sue opere». Anche il grande storico dell’arte Erwin Panofsky ha riconosciuto segni di follia in quelle che sono ritenute le opere più tarde, come la «Natività» di Berlino (1480 ca) e la «Morte della Vergine» (1480 ca), dai colori favolosi e recentemente restaurata, in prestito da Bruges. Tuttavia, i curatori della mostra non concordano con le suggestioni del passato: «Hugo non ha dipinto nulla dopo la malattia», afferma Kemperdick. Quel che è certo è che finalmente Van der Goes comincia a ottenere un maggior riconoscimento.

«Hugo van der Goes: tra dolore e beatitudine»,
Berlino, Gemäldegalerie, 31 marzo-16 luglio 2023

L’autore è uno scrittore americano

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