Image

Una Cornell femminista

Betye Saar e William N. Copley alla Fondazione Prada

William N. Copley (1919-96), noto con lo pseudonimo CPLY, fu un artista, scrittore, gallerista e collezionista. Figlio adottivo del magnate americano Ira Clifton Copley, visse tra Los Angeles (dove fondò le Copley Galleries insieme all’artista e cognato John Ployardt), Parigi e New York. La sua collezione, venduta nel 1979 da Sotheby Parke Bernet per 6,7 milioni di dollari, raccoglieva capolavori dell’arte surrealista, tra cui opere di Jean Arp, Dorothea Tanning, Frida Kahlo, Diego Giacometti, Joan Miró e Giorgio de Chirico. Ma Copley fu anche un pittore, un acuto e sagace ritrattista della società americana del dopoguerra.

La Fondazione Prada gli dedica dal 20 ottobre all’8 gennaio un’ampia retrospettiva, concepita in collaborazione con la Menil Collection di Houston. A cura di Germano Celant, l’esposizione presenta oltre 140 lavori provenienti da istituzioni e collezioni internazionali, nonché una selezione di documenti, materiali d’archivio e alcune opere appartenute all’artista. Al primo piano del Podium, accanto a dipinti realizzati da Copley tra il 1948 (il suo esordio «pop») e il 1996, figurano lavori di Max Ernst, Magritte, Man Ray e Tinguely, un tempo parte della sua collezione personale. Al piano terra, invece, si succedono otto ambienti, ciascuno dedicato a uno specifico tema nella produzione di Copley.

Tra questi, la stanza ispirata alla figura della «prostituta ignota» (antitesi del milite ignoto), che popola ossessivamente l’immaginario dell’artista. In mostra i controversi «X-Rated Paintings», che traggono i propri soggetti da riviste per adulti nell’intento di superare, come dichiarò l’artista stesso, «le barriere della pornografia per irrompere nel territorio della gioia». Oltre a una selezione di specchi, opere dalla serie «Nouns» e dipinti ispirati a Picabia, è infine esposto un gruppo di acrilici e olii su tela (1984-88), in cui Copley ripropone i motivi a lui più cari: nudi femminili, immagini del folklore messicano, scene notturne di Parigi e visioni mitologiche.

«Ballerina incerta» è l’espressione con cui l’artista losangelina Betye Saar, classe 1926, è solita definire se stessa. Una pratica, la sua, che «segue il movimento di una spirale creativa ricorrendo ai concetti di passaggio, intersezione, morte e rinascita, nonché agli elementi sottostanti di razza e genere», come spiega l’artista stessa. Una riflessione, quella della Saar, sugli stereotipi razziali e sessisti, che combina misticismo e critica sociale.

«Uneasy Dancer» inglese per «ballerina incerta», appunto, è il titolo della mostra (la prima antologica in Italia) che la Fondazione Prada di Milano le dedica sino  all’8 gennaio. A cura di Elvira Dyangani Ose, l’esposizione riunisce più di 80 opere tra installazioni, assemblage, collage e sculture, tutti lavori prodotti tra il 1966 e il 2016. Opere che prendono forma da una calibrata combinazione di materiali di recupero e memorabilia personali, dalla forte risonanza politica e sociale. Concepita appositamente per la mostra è l’installazione «The Alpha and The Omega (The Beginning and The End)» (2013-16), un ambiente circolare che allude al viaggio iniziatico e all’esperienza della vita umana.

Da Prada sono presenti anche gli assemblage di immagini e oggetti dentro scatole e valigie («Record for Hattie», 1975, e «Calling Card», 1976), o all’interno di gabbiette, allusive a una condizione di segregazione (come «Search for Lost Future», 2015, nella foto, «Domestic Life», 2007, e «Rhythm and Blues», 2010). Completa la rassegna una serie di opere nelle quali l’autrice ha utilizzato strumenti di lavoro o elementi della vita domestica, quali assi per il bucato, bilance e finestre, assemblati a fotografie o manufatti d’epoca.

Federico Florian, 07 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

Articoli precedenti

All’Eye Museum di Amsterdam la personale della raffinata artista e filmmaker greca

La sua prima retrospettiva istituzionale negli Stati Uniti, al MoCA di Los Angeles, è una profonda riflessione del rapporto tra verità, spettacolo e rappresentazione

Sono oltre 100 le femministe britanniche che tra il 1970 e il 1990 hanno interrogato il ruolo della donna in società con ironia, denuncia e parodia

Nella personale dell’enigmatica artista americana poesia, crudezza e ironia viaggiano all’unisono e la musica diventa scultura

Una Cornell femminista | Federico Florian

Una Cornell femminista | Federico Florian