Un nuovo libro su Sister Corita ne svela la passione per la fotografia
«Ordinary Things Will Be Signs For Us» esplora l’archivio fotografico di Corita Kent e il suo sguardo lento e profondo sui dettagli del quotidiano

Corita Kent, o Sister Corita, nata Frances Elizabeth Kent (1918-86), è nota soprattutto per le sue oltre 700 coloratissime serigrafie pop e per la sua attività di insegnante d’arte, passata alla storia grazie alle «Dieci regole» del suo corso all’Immaculate Heart College di Los Angeles. Molto meno noto è il fatto che fosse un’appassionata di fotografia ed esprimesse la sua inesauribile curiosità visiva scattando una grande quantità di immagini. Tra il 1955 e il 1968, periodo in cui ha lavorato al College del suo ordine religioso, ha accumulato più di 15mila diapositive da 35 mm che documentano la sua vita d’artista, di insegnante e di religiosa.
Dopo un lungo lavoro di digitalizzazione, alcune di queste immagini sono state utilizzate per il libro Ordinary Things Will Be Signs For Us: Photographs By Corita, edito da J&L Books e Magic Hour Press. Secondo Olivian Cha, conservatrice della collezione del Corita Art Center, «come artista e insegnante, Corita Kent considera il suo lavoro come un processo di accumulazione, conservazione e amplificazione continua. La fotografia come modalità di visione è stata fondamentale per la sua pratica, enfatizzando uno sguardo lento e profondo e un apprezzamento per i dettagli del quotidiano».
Le immagini sono state selezionate e messe in sequenza da Julie Ault, Jason Fulford e Jordan Waltzman. Si tratta di un progetto editoriale ricercato ed elegante che si prefigge, più che di restituire un’antologia storico-filologica dell’opera fotografica di Sister Corita, di entrare nell’«officina creativa» dell’artista e insegnante americana. La sequenza non segue un filo narrativo, cronologico o tematico, ma si dipana per associazioni formali e cromatiche, creando cortocircuiti e contrappunti a partire da immagini realizzate in circostanze e con scopi diversi. Lo sfoglio alterna immagini capaci di una loro autonomia, lasciate a piena pagina, a grappoli di foto raggruppate per affinità: scritte commerciali, particolari ravvicinati di oggetti quotidiani, scene di vita del college cattolico.
I curatori si prendono la libertà di usare le immagini come un alfabeto visivo, nato dalla capacità di osservazione di Corita, per comporre ciò che nella mente dell’artista era implicito o in potenza. Ad arricchire il percorso (molto gioioso come è tutta la produzione della Kent) sono alcuni stralci di frasi pronunciate o scritte dall’artista usate a mo’ di aforismi che, anch’essi, interagiscono con le immagini selezionate: «Per noi andare in spiaggia e far volare gli aquiloni è un’esperienza artistica, oppure guardare il tramonto è un momento di una certa solennità». Oppure: «Ho sempre pensato alle forme delle lettere come oggetti, persone o fiori, o altri altri soggetti». E ancora: «Non credo di essermi mai preoccupata che qualcosa che faccio possa durare per sempre».
Si tratta, a ben vedere, di un esercizio che è creativo, da una parte, e critico dall’altra. O forse, meglio, un esercizio critico, perché creativo. Il mondo delle immagini di Corita emerge, attraverso un gesto arbitrario e personale (selezione e sequenza), nella sua vitalità originaria. È chiaro che il potenziale è già nelle immagini che hanno tra loro un’energia magnetica che le attrae. Tuttavia, sicuramente è stato necessario un lavoro di immedesimazione che ha permesso alla spinta creativa di venir messa al servizio dell’intenzione originale che ha prodotto il corpus di queste immagini.
Non è certo il primo caso in cui vediamo un archivio di fotografie d’autore che viene rivitalizzato da un lavoro di un altro artista: è capitato, ad esempio, con Dorothea Lange e Sam Contis in Day Sleepers (Mack, 2020) o con Peter Hujar e Moyra Davey in The Shabbiness of Beauty (Mack, 2021). Con Corita e la Lange gli esperimenti sono certamente riusciti.
In una stagione in cui il tema del destino degli archivi è di grande attualità, oltre al doveroso e sacrosanto lavoro di conservazione, occorre curare anche l’interazione con gli artisti contemporanei. L’opportunità è quella di dare nuova vita al patrimonio del passato che, altrimenti, resterebbe inerte. Il rischio è quello di seppellirlo una volta per tutte. Per questo occorre guardare a chi, questo tipo di lavoro, lo ha saputo fare bene.
Ordinary Things Will Be Signs for Us: Photographs by Corita,
di Julie Ault, Jason Fulford e Jordan Weitzman, 144 pp., ill., col. e b/n, J&L Books/Magic Hour Press, 2023, € 42,00

