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Julian Rosefeldt, Manifesto, 2015 © Julian Rosefeldt and VG Bild-Kunst, Bonn 2018

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Julian Rosefeldt, Manifesto, 2015 © Julian Rosefeldt and VG Bild-Kunst, Bonn 2018

Un «Manifesto» del XXI secolo

A Palazzo delle Esposizioni una gigantesca videoinstallazione di Julian Rosefeldt con i monologhi interpretati da Cate Blanchett

Federico Castelli Gattinara

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Roma. Girato in soli dodici giorni a dicembre 2014 a Berlino, dove l’artista risiede e lavora da vent’anni, «Manifesto» dell’artista e videomaker tedesco Julian Rosefeldt approda fino al 22 aprile a Palazzo delle Esposizioni (l’opera venne installata la prima volta all’Australian Centre for the Moving Image di Melbourne nel dicembre 2015 e una sua versione filmica fu presentata al Sundance Festival nel gennaio 2017).

Si tratta di una gigantesca videoinstallazione su 13 schermi che rielabora la tradizione novecentesca dei manifesti artistici, un lavoro complesso, anche dal punto di vista sonoro, per il quale gli spazi del piano nobile del palazzo sono stati completamente ridisegnati dall’artista.

Ogni schermo riporta il grido di una generazione e le sue istanze culturali: scritti di futuristi, dadaisti, Fluxus, suprematisti, situazionisti, Dogma 95 e altri collettivi e movimenti, che si intrecciano alle riflessioni individuali di artisti, poeti, performer e filmmaker come Casimir Malevic, Elaine Sturtevant, Sol LeWitt, Claes Oldenburg, Mierle Laderman Ukeles, André Breton, Bruno Taut, Lebbeus Woods, Yvonne Rainer e Jim Jarmusch.

Rosefeldt ha raccolto e rielaborato tutto il materiale in 13 grandi collage, producendo una serie di monologhi interpretati dall’attrice Cate Blanchett che, nei panni di volta in volta di insegnante, burattinaia, giornalista televisiva, operaia, senzatetto ecc., spiazza, disloca, mette alla prova la tenuta di quelle parole e manifesti, ambientandoli in contesti inattesi.

Perché, come scrivono Anna-Catharina Gebbers e Udo Kittelmann, «l’obiettivo di un manifesto, dopo tutto, è demolire le visioni tradizionali con una forza esplosiva. I manifesti invocano la rivoluzione e annunciano nuove ere», e questo vale anche per il lavoro di Rosefeldt. La lingua è quella originale, senza sottotitoli (in brochure ci sarà la traduzione in italiano dei testi), lo spazio è continuo e accoglie tutti gli schermi (fruibili singolarmente) come un organismo unico, ribadito dal periodico suono all’unisono emesso da Blanchett da ogni proiezione, mentre fissa lo spettatore.

Julian Rosefeldt, Manifesto, 2015 © Julian Rosefeldt and VG Bild-Kunst, Bonn 2018

Federico Castelli Gattinara, 11 marzo 2019 | © Riproduzione riservata

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