Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image
Image

Un indiano tra Klee e Kandinskij

Federico Florian

Leggi i suoi articoli

La pittura di Vasudeo Santu Gaitonde, forse il più noto artista indiano del secondo dopoguerra, è frutto di una pratica meditativa, il prodotto di una concentrazione Zen. «Tutto ha inizio dal silenzio. Il silenzio del pennello. Il silenzio della tela. Il silenzio della spatola», dichiarò in un’intervista del 1991. Compito del pittore è «assorbire tutti questi silenzi», digerirli e interiorizzarli, tramutandoli in scariche di colori e agglomerati di forme.

Nato a Nagpur nel 1924 e morto ottant’anni dopo, Gaitonde incarna l’ideale dell’artista indipendente, al di fuori di correnti, stili o movimenti artistici definiti (eccetto un breve avvicinamento ai gruppi d’avanguardia di Bombay nei primi anni Cinquanta); artista onnivoro (si appropria di motivi tratti dall’avanguardia del Novecento, in primis Klee e Kandinskij, dalla calligrafia cinese, dalla tradizione americana del Color-field), trascorre tutta la vita in India, a parte un soggiorno di un anno a New York nel ’65. Qui, dal suo studio al Chelsea Hotel sulla 23esima strada, partecipa, in disparte, alla frenesia della Grande Mela, traducendola in silenziose, ponderate astrazioni.

A questo artista complesso la Collezione Peggy Guggenheim dedica, dal 3 ottobre al 10 gennaio, un’ampia retrospettiva, seconda tappa della mostra inaugurata lo scorso autunno al Guggenheim di New York, a cura di Sandhini Poddar. In mostra oltre 40 dipinti e opere su carta provenienti da istituzioni pubbliche di tutto il mondo, che ripercorrono le diverse fasi pittoriche di Gaitonde: dalle prime composizioni a tecnica mista agli acquerelli ispirati a Klee e alle astrazioni «non-oggettive» per le quali è noto.

Soggettivo, per Gaitonde, è sinonimo di astratto e spirituale: la pittura deve liberarsi del fardello della figurazione per esprimere al meglio le proprie potenzialità creative. Se le sue tele sembrano mettere in pratica i principi estetici di Kandinskij (un interesse per il colore come portatore di vibrazioni spirituali) e di Klee (la pittura come mezzo di visualizzazione dell’invisibile), il risultato finale, cioè i lavori realizzati tra gli anni Sessanta e Novanta, è profondamente personale.

I suoi dipinti senza titolo o numerati in successione, delicati paesaggi non figurativi dalle sfumature pastello o vibranti incrostazioni di colore sulle tonalità del giallo e del carminio, rivelano motivi ricorrenti, simili a sbiadite silhouette o a geroglifici consumati dal tempo. Alla base di tali forme semi-astratte è un processo di «rimozione», ottenuto tramite spatole e rulli e, successivamente, ricorrendo a pezzi strappati da giornali e riviste.

Pur fondando la propria tecnica sulla meditazione e su un’avveduta razionalità (impiegava mesi per realizzare un’opera), Gaitonde lascia spazio anche al caso e all’accidente. Una formula perfetta, la sua, capace di generare un’arte dalla misurata, calcolata spontaneità.

Federico Florian, 23 settembre 2015 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

In occasione del centenario della nascita del maestro cinetico più celebre al mondo, anche un convegno internazionale, oltre a mostre in tutta Europa

La prima edizione della Triennale di arte contemporanea della città francese è un prototipo per una rassegna alternativa: attenta a una dimensione locale più che globale, nasce dal desiderio di relazionarsi attivamente e genuinamente con il tessuto urbano e la comunità dei cittadini

All’Eye Museum di Amsterdam la personale della raffinata artista e filmmaker greca

La sua prima retrospettiva istituzionale negli Stati Uniti, al MoCA di Los Angeles, è una profonda riflessione del rapporto tra verità, spettacolo e rappresentazione

Un indiano tra Klee e Kandinskij | Federico Florian

Un indiano tra Klee e Kandinskij | Federico Florian