Trento invasa da un lessico serenissimo e internazionale

Grazie alla committenza di ricchi borghesi o di nobili e principi vescovi, nel ’700 l’arte veneta varcò i confini del Trentino. Una mostra nel Castello del Buonconsiglio ne ricostruisce le movimentate vicende

Un particolare di «Le ricchezze della Terra» di Antonio Balestra, Bolzano, Palazzo Mercantile
Camilla Bertoni |  | Trento

Fortemente radicata nel territorio, «I colori della Serenissima. La Pittura Veneta del Settecento in Trentino» racconta quanto quel territorio sia stato nella storia «agganciato» culturalmente ai suoi confinanti, l’Impero a nord e la Repubblica di Venezia a est. La rassegna (fino al 23 ottobre) al Castello del Buonconsiglio, ricostruisce una vicenda affascinante che ha costretto i curatori, Denis Ton e Andrea Tomezzoli, con la direttrice Laura Dal Pra, a rincorrere «gioielli» dislocati perifericamente nelle chiese delle valli trentine, a ritrovare le tracce o i bozzetti di opere distrutte volontariamente o accidentalmente, a recuperarne altre che hanno lasciato molti decenni fa il territorio italiano.

«Una vicenda attraverso la quale, spiega Andrea Tomezzoli, si dimostra quanto nel ’700 l’arte veneziana diventi lessico internazionale di grande fortuna. Oltre a Venezia, l’altro luogo centrale per la formazione e diffusione di questo linguaggio è Verona, centri che si connettono al Trentino attraverso la duplice direttrice offerta dall’Adige e dal Brenta».

Le opere venete giungono qui come frutto di committenze di una classe borghese che si spostava per lavoro a Venezia e di più sontuosi incarichi di principi vescovi o di nobili veneti che acquisiscono il titolo di conti dell’impero e possiedono residenze strategicamente ubicate a Verona, Venezia e in Trentino. E un quadro pittoricamente molto ricco, «con punte qualitative notevoli», come sottolinea Denis Ton, si è così ricomposto.

Punte che, a partire dagli antefatti seicenteschi di Strozzi e Mazzoni, passano per Louis Dorigny, Francesco Fontebasso, Giambattista Pittoni, Simone Brentana, Antonio e Francesco Guardi. «Delle diciannove tele di Fontebasso, allievo di Ricci, che il principe vescovo aveva commissionato nel 1759 per il Castello del Buonconsiglio, raccontano i curatori, sono stati ritrovati quattro modelletti, emersi di recente nel mercato antiquario, mentre il ciclo di affreschi per la Chiesa della Santissima Annunziata, gravemente danneggiato durante la seconda guerra mondiale, viene parzialmente ricomposto attraverso foto storiche».

La mostra offre l’occasione di vedere riuniti molti episodi di questa storia, tra i quali spicca la pala con la Sacra Famiglia dipinta da Antonio Guardi per la Chiesa dell’Immacolata a Strigno, emigrata nei primi anni Venti del Novecento al Museum of Art di Toledo, Ohio, dalla quale fa temporaneamente ritorno, dopo un unico episodio nel 1965, in Italia. «Un’operazione quella che si è concretizzata attraverso questa mostra, aggiunge Denis Ton, che fa tesoro di studi in questa direzione iniziati ancora negli anni ’70 e dove il Trentino emerge come punta di diamante di una rete di relazioni culturali internazionali».

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