Tre volte Zoe Gruni

I progetti dell’artista toscana alla galleria Il Ponte hanno in comune il linguaggio performativo che si mescola con altri media per sviscerare memorie, identità e paure

«Motherboard» (2023) di Zoe Gruni
Laura Lombardi |  | Firenze

Tre progetti espositivi compongono la mostra di Zoe Gruni (Pistoia 1982), «Motherboard», a cura di Camilla Boemio, alla galleria Il Ponte che inaugura il 28 settembre durante la Florence Art Week (visitabile fino al 17 novembre). Il filo conduttore dei lavori di Zoe Gruni è la performance, ma l’artista precisa che le sue azioni fan parte di un processo che non si limita al momento dello spettacolo ed è in costante evoluzione, teso a esorcizzare la paura del diverso in una dimensione collettiva in cui il suo corpo diviene «l’elemento catalizzatore che si estende verso gli altri attraverso interazioni di vario genere».

Gruni mescola performance, fotografia, disegno, scultura, video e installazioni dando largo spazio alla ricerca antropologica e socioculturale nella quale l’interazione con l’altro è fondamentale stimolo all’esito del lavoro. Alla base di tutto vige la convinzione che nella collettività si possa trovare la via di salvezza, con la speranza per chi crede nell’arte, e nella cultura in generale, come veicolo di resistenza.

In «Segunda pele» (2017-2019), video-installazione a due canali della durata di 8minuti e 42 secondi, e in «Segunda pele 1-2-3», grande stampa lambda su alluminio, oggetti performativi sono pensati come protesi del corpo, sculture che possono essere indossate o abitate realizzate con materiali di riciclaggio.«“Seconde pelli” diventano una sorta di filtro fra il mio proprio corpo e il mondo aiutandomi ad affrontare territori sconosciuti e a esorcizzare le difficoltà», afferma l’artista. Temi quali memoria, identità, paura sono affrontati coinvolgendo altri attori (tra cui il cineasta Alexis Zelensky con i performer nella foresta urbana del Parque Lage ai margini di Rio de Janeiro, luogo pulsante che resiste alla città).

«Fromoso»(2020) è invece una video performance, che si avvale di una serie di stampe lamba su alluminio, ispirata al concetto di antropofagia, realizzata in una discarica di carri del carnevale nell’area portuaria di Rio de Janeiro: il corpo della ballerina cubana Ana Kavalis si abbandona ad un rituale esoterico che la assorbe fino a farla scomparire tra gli oggetti fantastici che la circondano. La colonna sonora, realizzata appositamente per il progetto, è del musicista polacco Jeff Gburek. La mescolanza di antichità, mitologia, cultura pop, tecnologia digitale e temi sociali ritorna anche in «Motherboard», tecnica mista su stampa fotografica del 2023.

Il lavoro trae il nome dalla «scheda madre», responsabile della trasmissione e temporizzazione corretta di centinaia di segnali diversi, tutti ad alta frequenza e sensibile ai disturbi tra processori, la cui buona realizzazione è fattore chiave per le prestazioni e affidabilità dell’intero circuito. Gruni svolge qui una riflessione sulla maternità evocata da immagini realizzate con l’autoscatto durante momenti di gioco col figlio. Tramite la maschera pittorica, inoltre, compie una trasformazione dei personaggi attuando talora l’inversione del ruolo madre-figlio.

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