Tre mostre tra pittura e fotografia
I lavori di due artisti americani e quelli di un italiano riempiono gli spazi di Studio La Città instaurando tra di loro un inedito dialogo

Tre mostre raccontano un pezzo di storia di una galleria, Studio La Città, dalla vita che supera il mezzo secolo: le personali di Vincenzo Castella, «Affreschi e Collezioni Botaniche», di Lucas Reiner, «A Requiem in Progress», (entrambe fino al 16 settembre) e di Jacob Hashimoto, «Noise», (fino al 16 ottobre). Come però spesso accade nella «cattedrale» in cui è ospitata la storica galleria veronese (così è stato ribattezzato questo brano di archeologia industriale), gli echi e le risonanze tra le opere dei tre autori, pur dai linguaggi e retaggi culturali differenti tra loro, si rincorrono da una parete all’altra.
Due sono i nomi storici della galleria, Castella e Hashimoto, mentre Reiner (Los Angeles, 1960) torna a Verona per la seconda volta omaggiando un grande amico, anche lui artista storico della galleria, Lawrence Carroll, scomparso nel 2019. Reiner, che dipinge alberi da più di vent’anni, in questo caso si è lasciato ispirare e guidare dalle immagini di alberi che l’amico Carroll gli inviava da varie parti del mondo. «Una meditazione sulla perdita e sulla persistenza della bellezza, scrive lo statunitense, persistenza che gli alberi degli ambienti urbani rappresentano con, a volte incredibile, capacità di sopravvivenza nel difficile equilibrio tra uomo e natura».
Tra dipinti dove le ramificazioni si trasformano in segni quasi fantasmatici e video dove gli alberi sembrano lottare contro un mondo visibilmente disinteressato alla loro esistenza, la sequenza che le opere di Reiner costruisce è carica di struggente empatia. Gli alberi di Jacob Hashimoto (Greeley, Colorado, 1973) raccontano invece un altro genere di resistenza, quella contro l’assalto rumoroso e quotidiano delle immagini che ci rendono ormai difficile la percezione nitida della realtà in cui viviamo. «Come possiamo, si chiede l’artista, estrapolare il significato da questo rumore? Come possiamo rallentare la nostra mente e valutare come costruire il significato di tutti questi “frammenti” di linguaggio?»
La serie di dipinti «Noise», dove a volte la figura dell’albero sembra sparire dietro il «rumore di fondo», dissolvendosi in un fastidioso effetto moiré in bianco e nero, svela un artista diverso, dedito alla pittura su tela e non solo agli aquiloni per cui è noto. Ma a ben vedere ciò che emerge è una costante nel processo creativo di Hashimoto: anche qui infatti va alla ricerca di un’architettura di base dell’immagine, non più la struttura dell’aquilone, ma la pennellata in larghi campi di colore e segni stratificati.
Il mondo vegetale di Vincenzo Castella (Napoli, 1952) è quello del giardino botanico di Padova, a pochi passi dal complesso museale degli Eremitani con gli affreschi di Mantegna della Cappella Ovetari. L’artista immagina un dialogo tra arte e natura, di fatto tra due momenti della storia culturale non solo di Padova, due momenti su cui si sofferma rimanendo fedele al rigore del suo linguaggio fotografico, dove la luce straniante a cui l’artista ci ha abituati diventa chiave di lettura. Una luce ottenuta dalla combinazione tra il tempo di esposizione, la scelta della situazione luminosa e la particolare qualità di carta scelta per la stampa.
«Castella, scrive Salvatore Lacagnina ne “Il Libro di Padova” che l’artista ha dedicato alla città nel 2021, prosegue con i suoi mezzi e i suoi metodi il suo lavoro sulla rappresentazione, sulla realtà che diventa immagine, attraverso un gesto (quello fotografico) che non è e non può essere mai neutro, bensì consapevole del processo di riduzione che ogni immagine, ogni creazione artistica, produce rispetto al reale».