Una veduta aerea di piazza Alberica a Carrara: al centro, una scultura di MOG-Morgana Orsetta Ghini; a sinistra, «Senza titolo», di Sergi Barnils e, a destra, «Lassù», di Michelangelo Galliani. Foto Giuseppe D’Aleo

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Una veduta aerea di piazza Alberica a Carrara: al centro, una scultura di MOG-Morgana Orsetta Ghini; a sinistra, «Senza titolo», di Sergi Barnils e, a destra, «Lassù», di Michelangelo Galliani. Foto Giuseppe D’Aleo

Tra le Apuane e il mare, tutte le forme del marmo

Sculture, installazioni e fotografie per il festival «White Carrara023» che fino all’1 ottobre anima l’intero centro storico

Inaugurato il 17 giugno, «White Carrara023» è il festival che fino all’1 ottobre tramuta le strade e le piazze della città del marmo per antonomasia in una galleria en plein air. Nei principali punti d’interesse cittadini troneggiano sculture e installazioni di artisti internazionali, emblematici della versatilità del pregevole materiale estratto dalle cave delle Apuane e dell’eccellenza delle maestranze locali. 

Questa settima edizione, nata da un’idea di Cinzia Compalati e affidata alle cure di Claudio Composti, ha per titolo «Still Liv(f)e - Le forme della scultura» e si articola in due progetti paralleli: l’uno, «Still Life», gioca sul tema della trasformazione del blocco non lavorato, rimandando al concetto di «natura morta»; l’altro, «Still alive», riflette invece sulle varie forme di scultura contemporanea, viva (appunto) e in movimento, su come l’avvento della tecnologia abbia cambiato il concetto di scultura e su come l’utilizzo di nuovi materiali ne abbia stravolto i canoni classici.

Otto gli scultori coinvolti, con capofila il maestro Giò Pomodoro, una cui monumentale e nivea scultura del 1962 («Folla grande»), in prestito da una collezione privata, è allestita davanti all’Accademia di Belle Arti (una versione in miniatura è visibile nella vetrina dell’Infopoint). In molti casi sono stati pensati invece appositamente per «White Carrara023» i lavori disseminati tra piazza Alberica, piazza Duomo, piazza delle Erbe, piazza De André e mudaC | museo delle arti Carrara, di Sergi Barnils (una stele di travertino romano e marmo nero marquina lavorata a encausto «Senza titolo», 2021-22), Mattia Bosco («Sezione aurea», una composizione in tre blocchi, scintillante d’oro, allestita accanto al Duomo), Stefano Canto (sue le «Carie», in cemento armato e tronchi d’albero), Michelangelo Galliani («Lassù», un gigantesco braccio nero in marmo marquina, il cui indice punta verso il cielo),  MOG-Morgana Orsetta Ghini (presente con due sculture che rendono omaggio alla natura femminile), Mikayel Ohanjanyan (i suoi giganteschi «Legami», blocchi di quarzite uniti da giunti di ferro, sono una delle poche deroghe all’uso del marmo) e Quayola (un’interpretazione del mito di Ercole e Nesso realizzata con l’ausilio della robotica).

Nel percorso espositivo del mudaC, oltre a «Il Capo» (2010) di Yuri Ancarani, un cortometraggio in esposizione permanente che attraverso il solo linguaggio del corpo (del bravissimo capo cantiere, ma verrebbe da dire direttore d’orchestra, Franco Barattini) ci trasporta in una cava durante le complesse fasi dell’escavazione della montagna, è in mostra la barca «Ah galla» di Fabio Viale: in marmo, ovviamente, ma incredibilmente galleggiante, come documentato in un video visibile accanto all’opera.

Le riflessioni sulle forme della scultura ritornano anche nell’uso dell’immagine dei sei artisti-fotografi presentati a Palazzo Binelli in «Visioni Plastiche», ciascuno dei quali intrepreta con un’impronta  personalissima la versatilità del marmo e dell’arte tridimensionale. Ad aprire il percorso è un cortometraggio,  «Landscape as Performance», di Andrea Botto (1973). L’artista di Rapallo da quasi due decenni produce immagini che hanno a che fare con l’uso degli esplosivi in ambito civile, quali la demolizione di edifici, il distacco artificiale di valanghe, l’escavazione, la pirotecnica. Per questo progetto ha documentato momenti storici del recente passato dei carraresi come la demolizione delle case popolari del quartiere Caina o l’utilizzo degli esplosivi in cava.

La francese Dune Varela (1976) crea polittici composti da frammenti fotografici di antichi monumenti o sculture stampati su lastre di marmo. Bruno Cattani (1964) nel ciclo «Eros» esplora in sensuali scatti seppiati le forme corporee nel mondo della statuaria. Giacomo Infantino (1993) ci sfida attraverso l’uso di colori acidi ed elettrici dalla forma artificiale a «guardare negli occhi il buio». L’inglese Simon Roberts (1974) durante il lockdown ha fotografato di notte le sculture dei depositi del Victoria & Albert di Londra, seminascoste da involucri di plastica da cui erano state avvolte per proteggerle durante i lavori di ristrutturazione in corso, e in quelle «crisalidi» involontarie ha ravvisato affinità con la condizione che tutti noi abbiamo sperimentato nei giorni cupi della pandemia. Carolina Sandretto (1981) in un progetto avviato nel 2020 ha sovrapposto gli scatti di celebri sculture antiche nel tentativo di dare corpo all’«Aura»: «Un tempo, scrive, l’arte era dedicata al sacro e al mistero. Con le nuove tecnologie possiamo copiare l’arte e trasportarla ovunque con i nostri telefoni. Questo è un progetto che esplora la riproduzione dell’arte e che cosa significa restituire un’aura di mistero all’arte del nostro passato».

«White Carrara023» è organizzata dal Comune di Carrara in collaborazione con Imm CarraraFiere e Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara, con il patrocinio di Regione Toscana, il sostegno di Fondazione Marmo Onlus, la compartecipazione di Camera di Commercio della Toscana Nord-Ovest e il supporto dei partner tecnici Cave Michelangelo, Henraux Spa, Robotor, Successori Adolfo Corsi, E.R.P. Massa Carrara Spa.

Una veduta aerea di piazza Alberica a Carrara: al centro, una scultura di MOG-Morgana Orsetta Ghini; a sinistra, «Senza titolo», di Sergi Barnils e, a destra, «Lassù», di Michelangelo Galliani. Foto Giuseppe D’Aleo

Anna Maria Farinato, 19 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

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