Silvano Manganaro
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Osservando il lavoro di Catherine Biocca (1984), le sue installazioni, le sue stampe o anche il suo sito internet, non può non venire in mente il concetto di obsolescenza così come viene teorizzato da Rosalind Krauss. Secondo la critica americana, infatti, è l’essere «fuori moda» di una tecnica che apre a una forma espressiva la possibilità di essere rifondata come medium. Il medium della Biocca è un certo tipo di tecnologia digitale dal sapore arcaico e, in questo senso, sporco, sgraziato, buffo e respingente.
Anche nella mostra aperta alla galleria Frutta dal 18 maggio al 17 giugno, la giovane artista (nata a Roma ma formatasi in Olanda) dà vita a una vera e propria messa in scena che ha come protagonisti dei bonsai parlanti e una finestra in frantumi.
L’impatto è grottesco e tragico, un effetto accentuato dalla playlist scelta dall’artista. I vari elementi collaborano dunque a creare uno strano ambiente che, indubbiamente, non può lasciare indifferenti. È questa la poetica della Biocca: la ricerca di un non-sense capace però di mettere in evidenza il lato brutale, ma allo stesso tempo divertente, della vita. Trapela una visione «low-fi» dell’esistenza.
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