Taddeo di Bartolo aperto al futuro

Riapre alla Galleria Nazionale dell’Umbria la prima monografica sul pittore senese

Tavoletta di predella con Storie di San Francesco (particolare), dal polittico di San Francesco al Prato di Taddeo di Bartolo, Hannover, Niedersachsisches Landesmuseum
Stefano Miliani |

Vissuto dal 1362 circa al 1422, Taddeo di Bartolo diffuse il linguaggio senese tra Toscana, Liguria e Umbria. Ed è Perugia, con la Galleria Nazionale dell’Umbria, che con la prima monografica sul pittore voluta dal direttore Marco Pierini, ora riprogrammata dal 28 maggio al 30 agosto, assembla un centinaio di opere prestate da raccolte italiane ed estere tra cui il Louvre di Parigi e il Szépművészeti Múzeum di Budapest.

La curatrice è Gail E. Solberg, storica dell’arte nordamericana degli Associated Colleges of the Midwest-Florence Program di stanza a Firenze: studia Taddeo da decenni e fa sapere di aver concluso una vasta monografia con circa 600 immagini che dovrebbe uscire entro l’anno per l’editore Brepols. Con lavori dalla metà del nono decennio del Trecento agli ultimi anni, la rassegna vuole giocare le sue carte principali sui polittici a partire dalla ricomposizione, per quanto possibile, della pala perugina di San Francesco al Prato di cui il museo possiede 13 elementi (altri pezzi sono in sedi italiane, Germania e Olanda).

«Taddeo è stato offuscato dai nomi più conosciuti della scuola senese, interviene a voce la studiosa. Per la storiografia a fine carriera aveva perso i valori tanto piacevoli e convincenti della gioventù e della maturità. La vedo in tutt’altra maniera e cerco di mostrarlo con le tavole esposte e in catalogo. L’artista ha elaborato una meditata ricerca di un’arte dai valori più classici, più volumetrici, quasi all’avanguardia verso nuovi sviluppi che vedremo nel Quattrocento.

Se ha forme che preludono al Rinascimento? Direi di sì non solo nelle figure ma anche nelle scene narrative laddove esercita l’illusione della profondità, dove studia lo spazio e le espressioni. È aperto al futuro
». Inoltre, dice ancora Gail E. Solberg, «l’aspetto più sorprendente è veder ricorrere certe figure. Da radiografie e riflettografie nei restauri è emerso un sistema di modelli come fossero sagome che gli permette una produzione in serie ma in versioni sempre nuove».

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Stefano Miliani