Lockdown, quarantena e distanziamento sociale fanno parte di un nuovo lessico familiare che definisce e concettualizza la mutata relazione tra il nostro corpo e lo spazio collettivo. In questo turbolento 2020, come riprendere le misure di luoghi e relazioni? Come ricalibrare la propria esistenza in uno spazio sovvertito dallo scoppio dell’epidemia? A queste domande tenta di rispondere la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo con «Space Oddity», titolo della celebre canzone di David Bowie.
34 lavori di 32 artisti, tutti della collezione, riflettono su spazialità, distanza e prossimità e sul rapporto tra spazio pubblico e domestico. «Il concept di “Space Oddity” è nato da una riflessione su come riaprire la Fondazione dopo il lockdown, spiega la curatrice Irene Calderoni. Il contingentamento degli ingressi, le misurazioni dei metri quadrati e le segnalazioni del percorso espositivo hanno innescato una nuova coreografia dello spazio».
La dialettica tra partitura coreografica e libertà interpretativa diviene allegoria dello spazio pubblico contemporaneo, regolamentato, contingentato e aperto a nuove e inusuali mappature. Il corpo danzante di Trisha Brown abita il video «Watermotor» di Babette Mangolte (1978), in cui la coreografa americana mappa e misura lo spazio circostante mediante una successione di movimenti.
Esplorano il tema della danza anche un video di Clemens von Wedemeyer e i dipinti di ballerini di Lynette Yiadom-Boakye. E ci sono anche lavori monumentali come l’installazione labirintica di Alicja Kwade e l’inquietante «Bang-Bang Room» di Paul McCarthy (1992).
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