Yvonne Farrell e Shelley McNamara con Paolo Baratta. Foto di Andrea Avezzù

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Yvonne Farrell e Shelley McNamara con Paolo Baratta. Foto di Andrea Avezzù

Sostenibile e permeabile

Alla Biennale di Architettura 71 studi internazionali interpretano il «Freespace». 65 le Nazioni partecipanti

Due donne legate da un sodalizio professionale lungo quarant’anni, Yvonne Farrell e Shelley McNamara, fondatrici dello Studio Grafton Architects di Dublino e già vincitrici del Leone d’Argento alla Biennale Architettura 2012 per il nuovo campus della Universidad de Ingeniería y Tecnología di Lima (Utec) in Perù, curano la XVI Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, visitabile dal 26 maggio al 27 novembre.

«Freespace» è il tema e il manifesto dell’edizione 2018 che, negli intenti, prosegue nel solco tracciato da quella diretta due anni fa dal cileno Alejandro Aravena, considerando il ruolo che la disciplina può esercitare nella società civile e seguendo al contempo la linea programmatica della Biennale: avvicinare sempre di più un pubblico di non addetti ai lavori per stimolare riflessioni, nuove consapevolezze e responsabilità.

Gli spazi a cui le due professioniste irlandesi fanno riferimento sono quelli «liberi e supplementari», ossia quelli fruibili nella destinazione sia pubblica sia privata, in forma occasionale o abituale, quelli in grado d’instaurare un rapporto con la dimensione (urbana e non solo) circostante. Sono architetture permeabili anche ai «doni» naturali come la luce e il vento. A interpretare il tema sono stati invitati 71 studi internazionali in cui si riscontrano nomi poco noti accanto ad altri celeberrimi (come David Chipperfield, Alvaro Siza, Rafael Moneo, Diller Scofidio + Renfro, Atelier Peter Zumthor, Studio Odile Decq, Sauerbruch Hutton cui si deve il nuovo Museo del Novecento, M9, di Mestre atteso per fine 2018) e agli italiani Cino Zucchi Architetti (Milano), Laura Peretti Architects (Roma), Maria Giuseppina Grassi Cannizzo (Ragusa, menzione speciale alla 15. Biennale Architettura) e Francesca Torzo (Genova).

65 le partecipazioni nazionali (con 7 esordienti: Antigua & Barbuda, Arabia Saudita, Guatemala, Libano, Mongolia, Pakistan e Santa Sede), 2 progetti speciali (tra cui «Robin Hood Gardens: A Ruin In Reverse» in collaborazione con il Victoria and Albert Museum presso le Sale d’Armi all’Arsenale, dedicato all’omonimo complesso di case popolari a Londra, oggi in demolizione), 2 sezioni speciali («Close Encounter, meetings with remarkable project» e «The Practice of Teaching»), 13 eventi collaterali ufficiali in calendario. Le anticipazioni emerse dai singoli padiglioni lasciano intravedere declinazioni stimolanti: per la Russia il vento di «Freespace» soffia attraversando stazioni e linee infrastrutturali del Paese; gli Emirati Arabi guardano al paesaggio urbano del quotidiano, la Cina a quello rurale (entrambi in rapporto alla dimensione sociale e non allo sviluppo repentino della megalopoli) mentre la Francia porta a Venezia 10 luoghi abbandonati e tornati a nuova vita grazie all’azione di realtà associative, culturali e collettivi di diversa natura.

Il Leone d’Oro alla carriera, intanto, è stato assegnato per questa edizione a Kenneth Frampton, architetto e storico e teorico dell’architettura: il presidente della Biennale, Paolo Baratta, ha ricordato l’importanza e la diffusione della sua Storia dell’architettura moderna. Frampton (Londra, 1930) è docente alla Columbia University di New York e riceverà il riconoscimento il 26 maggio a Ca’ Giustinian, sede della Biennale di Venezia, all’inaugurazione della mostra.

Yvonne Farrell e Shelley McNamara con Paolo Baratta. Foto di Andrea Avezzù

Veronica Rodenigo, 25 maggio 2018 | © Riproduzione riservata

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Sostenibile e permeabile | Veronica Rodenigo

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