«Sono un pittore che lavora come uno scultore» ha dichiarato Anish Kapoor, il celeberrimo artista anglo-indiano noto per le sue lucenti sculture dalle forme organiche. Lungi dal rappresentare un’attività separata e disgiunta dalla sua produzione scultorea, la pittura per Kapoor costituisce uno strumento indispensabile per concepire e sondare la spazialità, discorso chiave per le sue opere 3D.
Dal 2 ottobre al 13 febbraio, Modern Art Oxford dedica un’importante mostra proprio alla pittura di Kapoor, un medium a cui l’artista non viene generalmente associato, ma che di fatto non ha mai smesso di esplorare nell’arco degli ultimi quarant’anni. Una pratica, quella pittorica, energica e vulcanica, definita da una gestualità dirompente, che potrebbe apparire in contrasto con le sculture pulite e dalle superfici levigatissime per cui lo conoscono in molti.
In mostra sono presenti oli su tela recenti, esposti accanto a lavori pavimentali realizzati in silicone: se questi ultimi evocano organi interni, carne e sangue, i primi compongono paesaggi terrestri neri come la pece. Ma il rosso e il nero non restano puri: semmai si sporcano di tonalità di gialli e grigi, rivelando una palette che richiama i colori del sottosuolo, così come quelli del corpo. Si tratta di opere viscerali, create durante la pandemia, in un momento in cui il senso di vulnerabilità fisica si è trasformato in un’esperienza comune e diffusa.
Parallelamente alla mostra di Oxford, la sede londinese di Lisson Gallery ospita un’altra personale di Kapoor, sempre di dipinti (fino al 30 ottobre). Entrambi i progetti espositivi rappresentano il prologo della grande retrospettiva che le Gallerie dell’Accademia di Venezia dedicheranno all’artista la primavera prossima.
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