Marco Riccòmini
Leggi i suoi articoliPoggia mollemente a un tronco incrociando le gambe mentre porta le dita alle labbra a far croce, invitando al silenzio. Ha lo sguardo languido e malinconico, come se, con il pensiero, corresse a un tempo passato, oramai lontanissimo, di quando se ne stava a Firenze, sopra un alto piedistallo ammirato da fior di professori incravattati e signore incipriate che, davanti alla sua imberbe nudità, nascondevano sorrisini sotto l’ombrellino di pizzo nero, così che il Maestro, alla fine, accontentando i consorti, ricavò dal marmo anche una foglia di fico che gli appiccicò sulle pudenda.
«Ma che bel Narciso!», commentavano i più, facendo sfoggio d’erudizione. Macché Narciso, somari! rimuginava in cuor suo il Santarelli. Ma con tutto quel po’ po’ d’ornamento sul capo, che m’è costato una fatica col trapano, e le dita alle labbra non vedono che l’è un Arpocrate? «Arpocrate? Mi rinfreschi la memoria, Maestro». E il Maestro, «Prof. Commend. Emilio Santarelli, Membro dell’Accademia di Vienna, nonché di molte altre» (Firenze, 1801-86), spiegava prendendo fiato: «Il dio greco del Silenzio, un fanciullino!» (anche se, prima che greco, era egizio, ma poco male). «Ah, il Silenzio!», ripetevano in coro, alzando le sopracciglia in segno d’aver capito.
Però, vuoi un po’ che era tutto nudo, vuoi che non avevano veramente capito, le coppie fiorentine salutavano con tanto di cappello ma nessuna gli chiedeva il prezzo. Così il Santarelli, che intanto andava accumulando una bella raccolta di disegni (andati poi agli Uffizi), finì col venderlo a un conte russo il quale svuotò sul suo tavolo una sacca piena di rubli che zittì (è il caso di dire) lo scultore. Giunse per mare a Pietroburgo e poi, tra un trambusto e l’altro, nel 1964 lasciò Leningrado alla volta della lontanissima Alma Ata (che, ai tempi dello zar, si chiamava Vernj e oggi Almaty, nell’odierno Kazakistan). Oggi, chi visita il Museo statale delle Arti «A. Kasteyev» lo trova in una delle prime sale e, siccome è firmato e datato (1857), non vi è dubbio sul suo autore anche se è descritto come «Narciso». Ah, non mi faccia parlare!, avrebbe detto il Santarelli. Silenzio, anzi: «Il Silenzio»!
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