Segnatevi questo nome: Papahanaumokuakea nel Regno di Hawaii, Stati Uniti

Nel 2010 una vastissima area marina che copre una superficie di oltre 1,5 milioni di chilometri quadrati è stato iscritto nella Lista del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco

Tiki,  una figura in pietra nelle Isole Marchesi
Francesco Bandarin |

Nel 2010 Papahanaumokuakea Marine National Monument, una vastissima area marina situata nello Stato delle Hawaii, che copre una superficie di oltre 1,5 milioni di chilometri quadrati, è stato iscritto nella Lista del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Questa area protetta, tra le più grandi del mondo (dopo l’area protetta di Marae Moana nelle Isole Cook, che arriva a due milioni di chilometri quadrati), venne inizialmente istituita nel 1909 dal presidente Theodore Roosevelt come santuario di rifugio per gli uccelli, successivamente nominata Monumento Nazionale dal presidente George W. Bush nel 2006, e poi enormemente ampliata dal presidente Barack Obama nel 2016, fino a raggiungere i limiti della «zona economica esclusiva» (una definizione che deriva dal diritto internazionale e dalla Law of the Seas, che peraltro gli Stati Uniti non hanno ancora ratificato).

Il sito è stato iscritto nella Lista del Patrimonio sia per i valori naturali che per quelli culturali, legati alle tradizioni dei popoli originari delle Hawaii. Il nome stesso dell’area riflette queste tradizioni, poiché celebra la dea hawaiana Papahanaumoku e il suo consorte Wakea, che, nella mitologia hawaiiana, è il «padre del cielo», creatore delle isole dell’arcipelago (Hawaii, Maui, Ohau e Kauai) e l’antenato dei nobili e dei capi delle tribù. Le isole Hawaii erano state colonizzate da una popolazione polinesiana verso la fine del primo millennio d.C., e scoperte (o riscoperte) dal capitano James Cook, che vi arrivò nel 1778. In quell’occasione, Cook aiutò il capo dell’isola di Hawaii a conquistare tutto l’arcipelago, rendendo possibile la creazione del Regno di Hawaii, che restò indipendente fino al 1898, quando fu annesso agli Stati Uniti d’America, diventandone poi uno Stato della federazione nel 1959.

Oggi la comunità di origine hawaiana è di circa 250mila persone, su un totale di circa un milione e mezzo di abitanti. Il sito di Papahanaumokuakea accoglie oltre 7mila specie marine, in un complesso sistema di atolli, barriere coralline e mari poco profondi. Vi sono molte specie in pericolo di estinzione, come la tartaruga marina verde e la foca monaca hawaiana, i fringuelli di Laysan e Nihoa, l’uccello mugnaio di Nihoa, uccelli marini come l’albatros di Laysan, numerose specie di piante tra cui le palme Pritchardia remota e molte specie di artropodi. Le specie ittiche presenti hanno sofferto per l’eccesso di pesca negli anni ’80 e ’90, ma sono in corso di graduale recupero, ora che la pesca commerciale è stata del tutto proibita.
Gli atolli corallini
Favorita dal suo isolamento biogeografico e dalla distanza tra isole e atolli, l’area comprende una grande varietà di habitat, da 4.600 metri sotto il livello del mare a 275 metri sopra: aree abissali, montagne sottomarine e banchi sommersi, barriere coralline, atolli, lagune poco profonde, coste litorali, dune, praterie aride, arbusti e un lago ipersalino. Un quarto delle specie marine attualmente conosciute nell’area è endemico. Oltre un quinto delle specie ittiche è unico nell’arcipelago, mentre l’endemismo delle specie coralline è superiore al 40%. Il sito è un esempio quasi unico al mondo di un ecosistema di barriera corallina ancora dominato da grandi predatori come gli squali, una caratteristica che la maggior parte delle altre isole del Pacifico hanno perduto a causa dell’attività umana.

La natura incontaminata dell’area ha un importante significato cosmologico per le popolazioni originarie, come luogo ancestrale di origine, come rappresentazione del concetto di unione tra la natura e i viventi, e come luogo di origine della vita e dove gli spiriti dei morti ritornano. In due delle isole dell’arcipelago, Nihoa e Makumanamana, si trovano ancora i resti archeologici di insediamenti precedenti la colonizzazione europea, e anche alcuni santuari che assomigliano molto a quelli delle isole di Tahiti. Vi è anche un sito dove si trovano figure di pietra simili a quelli delle isole Marchesi, a testimonianza dei legami profondi delle popolazioni originarie con le altre isole del Pacifico.

L’importanza del sito è ulteriormente accresciuta dalla presenza nei suoi fondali di numerosi relitti di navi storiche, come la Usns Mission San Miguel qui affondata l’8 ottobre 1957, o la portaerei della Marina imperiale giapponese Akagi, affondata il 4 giugno 1942 durante la seconda guerra mondiale, nella battaglia delle Midway. Nello stesso anno dell’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale, lo Stato insulare di Kiribati iscriveva l’area protetta delle Isole Phoenix, un’altra grande distesa di habitat marini e terrestri nel Pacifico meridionale, che si estende su una superficie di oltre 400mila chilometri quadrati. Queste iscrizioni hanno notevolmente ampliato l’estensione delle aree marine protette ai sensi della Convenzione del Patrimonio Mondiale e hanno segnalato il crescente interesse della comunità globale a espandere la protezione delle aree naturali marine, per limitare l’impatto dell’uomo sull’ambiente e sul clima.

Francesco Bandarin è stato direttore del Centro del Patrimonio Mondiale e vicedirettore generale per la Cultura dell’Unesco dal 2000 al 2018

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