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Sassoferrato interprete perfetto

Riuniti tutti i dipinti voluti dai monaci

«Adolfo Venturi disse che il Sassoferrato era un quattrocentista smarrito nel ’600. Di sicuro non era un barocco: si rifaceva a modelli classicisti con una pittura comunicativa per trasmettere valori devozionali e prese qualcosa da tutti gli artisti a cui guardava. Infatti a Perugia, per il complesso di San Pietro, non copiò ma reinterpretò. Come vuole mettere in chiaro la mostra “Sassoferrato dal Louvre a San Pietro: la collezione riunita”»: così Cristina Mancini parla della rassegna da lei curata insieme a Vittorio Sgarbi e visibile dal 7 aprile al primo ottobre nella Galleria Tesori d’Arte nel complesso monastico di San Pietro di Perugia, da fine Ottocento sede della Fondazione per l’Istruzione Agraria.

La mostra è anche l’occasione per far capire che la città non ha affatto risentito del terremoto. Il pittore Giovan Battista Salvi viene ricordato con il nome del paese marchigiano in cui nacque nel 1609 per morire a Roma nel 1685. E la docente di Storia della Critica d’Arte nell’università perugina mette in risalto il «colpo» espositivo messo a segno: «Siamo riusciti ad avere “L’Immacolata Concezione” dal Louvre, dove gli emissari napoleonici la portarono nel 1812 dopo averla prelevata da qui durante le spoliazioni.

Torna per la prima volta nel luogo d’origine. Nel complesso di San Pietro, fondato intorno all’anno Mille, la chiesa e la Galleria conservano la più ampia collezione di dipinti dell’artista marchigiano: ben sedici». Oltre a prestiti da collezioni pubbliche (come «L’Immacolata Concezione» nella replica della Civica Raccolta d’Arte di Sassoferrato) e private, la mostra accorpa tutti i dipinti che il Sassoferrato eseguì qui su commissione dei monaci. L’artista si considerava erede di autori come il Perugino e Raffaello. «Reinterpretava, come capì Federico Zeri, puntualizza la storica dell’arte, semplificando le figure, usando colori smaltati e materie tecnicamente perfette», conclude Cristina Mancini.

A Perugia Sassoferrato rivisitò tra l’altro una predella di un polittico di Perugino finito in più musei stranieri, la «Maddalena» di Tintoretto, oggi ai Musei Capitolini, dopo averla vista a Roma, e il pezzo forse più sorprendente, la «Deposizione Baglioni» di Raffaello che l’insaziabile cardinal Borghese nel 1608 strappò alla città umbra. Poiché i perugini non la presero bene, il prelato collezionista inviò a parziale compensazione una copia dipinta dal Cavalier d’Arpino. Se poi il Sassoferrato, per la sua versione nel 1639, abbia guardato l’originale o meno, a oggi pare non sia dato sapere.

Redazione GDA, 03 aprile 2017 | © Riproduzione riservata

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Sassoferrato interprete perfetto | Redazione GDA

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