Ritratto di signora: la duchessa Eleonora di Toledo

A Palazzo Pitti una mostra illustra il ruolo, anche istituzionale, della moglie di Cosimo I de’ Medici: bellissima e colta determinò le sorti culturali di Firenze inventando la corte medicea

Uno scorcio della mostra su Eleonora di Toledo a Palazzo Pitti
Laura Lombardi |  | Firenze

Quando Eleonora da Toledo sbarca a Livorno nel 1539 per incontrare per la prima volta lo sposo al quale è stata destinata, il duca Cosimo I de’ Medici, è già in Italia da cinque anni, giunta a Napoli da Toledo poco più che decenne, quale figlia del viceré di Napoli don Pedro di Toledo; dalle fonti si ricava che Eleonora è già molto colta, conosce l’ebraico, ma è a Firenze che diverrà mecenate, dando una vera impronta alla cultura e alla storia della dinastia medicea.

Un ruolo fino ad oggi non ancora ben sottolineato, se non in ambito più strettamente scientifico, e che la mostra «Eleonora da Toledo e l’invenzione della corte dei Medici», curata da Bruce Edelstein e allestita dal 7 febbraio al 16 maggio negli spazi dei Tesori dei Granduchi al piano terra di Palazzo Pitti, intende quindi ricostruire. «Capostipite esemplare di una donna al governo, valida alleata del marito ma anche attiva e capace di determinare, in prima persona, le sorti della città e dello Stato», come osserva Eike Schmidt, direttore delle gallerie degli Uffizi, Eleonora sa distinguersi per eleganza, risolutezza e gusto nelle arti.

Il percorso della mostra, articolato in sette sezioni, riunisce dipinti, sculture, arazzi, gioielli e abiti, seguendo le fasi della vita della duchessa, fin dall’infanzia, col bellissimo ritratto di suo padre, il viceré Pedro, opera di Tiziano, in prestito dall’Alte Pinakothek di Monaco, ma anche la «Deposizione dalla croce» di Gerard David (1515-20) forse proveniente dalla madre di Eleonora, Maria Osorio Pimentel (che crebbe sotto la custodia di Isabella la Cattolica); ci sono poi le nozze a Firenze, evocate in mostra dagli anelli nuziali, dagli spartiti musicali composti per la cerimonia, e da opere che le fonti ricordano esposte nel cortile di Palazzo Medici.

A Firenze Eleonora, che presto dialoga con artisti quali Bronzino, Bachiacca, Salviati, Vasari ed è sostenuta dai grandi intellettuali di corte, dà anche alla luce undici figli, due dei quali effigiati con lei da Agnolo Bronzino: Francesco (primogenito e futuro duca e granduca Francesco I) e Giovanni, che figura nel dipinto sullo sfondo blu lapislazzuli che è lo stesso adottato per i pannelli della mostra.

La figura di Cosimo I è invece evocata dal dipinto di Bronzino e dai busti di Baccio Bandinelli; quello in marmo era nel Quartiere di Eleonora, in quel Palazzo Vecchio divenuto nuova residenza dei Medici, che la duchessa si impegna a trasformare in sfarzosa residenza ducale. Qui è anche la sua cappella, cui si riferiscono in mostra i disegni e gli schizzi preparatori di Bronzino, ma anche il «Compianto sul Cristo morto» della bottega di Nicolas Karcher, tessuto dall’Arazzeria Medicea da un cartone di Francesco Salviati, probabilmente utilizzato da Eleonora nel decennio in cui mancava la pala d’altare dipinta dal Bronzino (finita a Besançon per un dono di Cosimo a Nicolas Granvelle).

«Io amo molto i documenti di archivio, spiega Edelstein, ma in una mostra possono risultare noiosi e ho quindi preferito raccontare Eleonora, oltre che attraverso le opere degli artisti che le furono legati, tramite gli oggetti»: troviamo infatti vestiti (lei importò a Firenze la moda della corte di Napoli), corsetti (che lei voleva foderati di taffetà), calze, calzature come la vertiginosa pianella in pelle e legno, tessuti, piviali col pelo nero a «riccio d’oro», a suggerire una ricchezza di lavorazione che tocca vertici di rara finezza nella «Bandinella» di manifattura fiorentina conservata al Bargello, anelli di arte romana rimontati da artefici moderni.

Il ruolo istituzionale di Eleonora è evocato da oggetti di provenienze extraeuropee, come la «Tromba da richiamo» in avorio con gli stemmi Medici-Toledo, donata forse dal califfo di Tunisi in visita a Firenze nel 1543, opera di cultura Hungaan (Repubblica Democratica del Congo); negli inventari medicei risulta anche la «Maschera di divinità» messicana (arte mixteca) in prestito dal Museo delle civiltà di Roma.

Tra i grandi meriti di Eleonora è l’acquisto, coi suoi denari, nel 1550, del palazzo di Luca Pitti che diverrà reggia medicea e per il quale la duchessa vuole il Giardino di Boboli, affidandone il disegno a Niccolò Tribolo (che disegnò altre ville medicee, dove i suoi figli amavano cacciare gli uccelli): giardino ricordato in mostra dalla lunetta attribuita a Giusto Utens ma anche da alcune sculture come i «Nani» (Barbino e Morgante) di Valerio Cioli o il «Villano» ideato dallo scultore prediletto della duchessa, Bandinelli, ed eseguito da Giovanni Fancelli, mentre il «Giovane Dio fluviale» di Pierino da Vinci era stato spedito da Eleonora al padre per il suo giardino di Pozzuoli.

A concludere il percorso, oltre a ritratti di Eleonora più anziana, come quello attribuito a Alessandro Allori del 1562 (Gemäldegalerie di Berlino), è ricordata la vicinanza della duchessa all’ordine dei Gesuiti; e qui sono altre figure legate a quell’ordine religioso, quali Bartolomeo Ammannati, poi architetto di Palazzo Pitti, e la poetessa Laura Battiferri, ritratta da Bronzino e che proprio a Eleonora dedica una sua raccolta di versi. Il catalogo Sillabe, a cura di Bruce Edelstein e di Valentina Conticelli, ha contributi di numerosi studiosi tra cui Philippe Costamagna, Andrea Zezza e Roberta Orsi Landini.

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