Regna la malattia al Museion

Partendo da un saggio di Susan Sontag, nel museo bolzanino l’arte è denuncia e impegno sociale

«Acid Rain for Museion» (2022) di P. Staff. Cortesia dell’artista. © Luca Guadagnini
Camilla Bertoni |  | Bolzano

Bolzano. Dopo aver accolto in una sede istituzionale «alta» la «subcultura» techno (cfr. n. 423, dic. ’21, p. 6), il direttore Bart van der Heide apre le porte di Museion all’arte come atto di denuncia e impegno sociale. «Kingdom of the Ill», titolo che fa riferimento al saggio di Susan Sontag La malattia come metafora del 1978, è il secondo capitolo del progetto «Techno Humanities», dove i guest curator Sara Cluggish e Pavel S. Pys indagano le relazioni tra l’individuo e i sistemi sociali, aziendali e istituzionali, mettendo in luce disparità e discriminazioni che tali sistemi generano (fino al 5 marzo). Disparità venute alla luce in maniera particolarmente evidente con la pandemia, come emerge dall’analisi delle strategie commerciali delle case farmaceutiche. Ma la mostra era stata pensata prima: le discriminazioni legate alla malattia e alle disabilità, così come le differenze di accesso alle cure, sono questioni ben precedenti, e sono raccontate da artisti che in vari modi le hanno vissute sulla propria pelle in un allestimento che abbatte le barriere, mettendo il museo al centro di una riflessione su come ognuno possa contribuire a cambiare la situazione. Le ha vissute Nan Goldin, che denuncia la dipendenza da un farmaco a base di oppioidi insieme al collettivo P.A.I.N., Prescription Addiction Intervention Now. Il racconto è portato su un piano più simbolico nel caso di P. Staff, che usa il riferimento alle piogge acide e alla corrosione del sistema. Noah ed Ezra Benus attingono al loro vissuto di malattia cronica, nell’ambito di un’educazione ebraica, mentre Ingrid Hora porta in «Collective Effort» l’impegno del mondo del volontariato. C’è chi ha alle spalle una pluridecennale riflessione su questi temi, come la californiana Lynn Hershman Leeson o la francese Shu Lea Cheang, mentre recente, e legata alla pandemia, è quella di Enrico Boccioletti. Chi documenta la «malattia» ambientale, come Mattia Marzorati con la serie fotografica «The Land of Holes-La terra dei buchi», e chi sulle persone, come Adelita Husni-Bey, chi sui materiali, come Ian Law, chi sull’esperienza personale (Julia Frank, Carolyn Lazard, Sharona Franklin), o su quella collettiva (Mary Maggic, Barbara Gamper) o ancora sulle pratiche di cura (Lauryn Youden, Juliana Cerqueira Leite e Zoë Claire Miller).

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