«Millenovecentodiciannove (Il reduce)», 1929-1930 (particolare), di Ardengo Soffici, Museo di Palazzo Pretorio, Prato

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«Millenovecentodiciannove (Il reduce)», 1929-1930 (particolare), di Ardengo Soffici, Museo di Palazzo Pretorio, Prato

Quando Mussolini scriveva per Ungaretti

A Palazzo Ducale le contraddizioni, le ferite, i sogni e gli incubi di un decennio molto attuale: gli anni Venti in Italia

«Calma, piacere, dolore, odio, calma»: è l’alternanza di sentimenti raffigurata nei grandi volti che aleggiano su «La folla», un dipinto del 1920 di Sexto Canegallo. Una compresenza di contrasti che percorre tutto un decennio, gli anni Venti, ovvero «L’età dell’incertezza», così identificata da Matteo Fochessati e Gianni Franzone, curatori di una mostra aperta dal 5 ottobre al primo marzo nell’Appartamento del Doge a Palazzo Ducale.

Qui un centinaio di opere rivelano come la contrastante complessità degli anni Venti si sia manifestata nell’arte italiana del periodo. Gli anni Venti del ’900 si aprono, artisticamente, con i frammenti dell’utopia avanguardista rimasti ancora in vita dopo la Grande Guerra e si chiuderanno con un sempre più marcato ritorno all’ordine, complici anche i dettami estetici dei regimi totalitari. In verità, quel decennio succede a due catastrofi: oltre alla guerra, la devastante epidemia di Spagnola, l’influenza che uccide oltre cento milioni di persone; ne morirono il poeta Apollinaire, vate delle avanguardie storiche, e gli artisti Schiele e Klimt.

Si trattava, dunque, di ricostruire, ma anche di gestire ed elaborare cicatrici che avevano intaccato profondamente l’ottimismo positivista d’inizio secolo. In Italia, prima di due nuove catastrofi, la crisi economica del ’29 e la seconda guerra mondiale, c’è spazio per l’eleganza e l’edonismo déco (Bucci, Libero Andreotti) ma anche per opere che denunciano il disagio sociale post bellico («Il reduce» di Lorenzo Viani), l’affermazione di una potente borghesia, («Il figlio dell’armatore» di Ubaldo Oppi) e una diffusa povertà, oltre a un’identità economica largamente rurale contrapposta alla crescita dell’urbanizzazione: di lì a poco sarà il tempo delle «periferie» di Sironi, evocatore della Musa di tutto un secolo, la malinconia.

È il ventennio di due Martini che in comune hanno solo il cognome: il grande Arturo e il suo recupero di una classicità nobilmente arcaistica e mediterranea, e Alberto, l’illustratore che s’inoltrò nelle ombre gotiche dei racconti di Poe. Come raccontare dieci anni così intricati? Attraverso un prologo e otto sezioni tematiche e con «opere importanti, che hanno partecipato alle grandi esposizioni del decennio, spiega Fochessati. Segnalo, tra le molte altre, “Maternità” di Gino Severini, 1916, un dipinto che documenta la clamorosa svolta dell’artista verso la forma classica, proponendosi come un’icona universale dell’allora emergente clima del ritorno all’ordine; il “Ritratto di Alfredo Casella” di Giorgio de Chirico, post 1924, anche per l’importanza del personaggio ritratto, compositore, musicologo e collezionista di arte contemporanea; “Gli apostoli” di Felice Carena, 1926; “Ragazza con scodella” di Felice Casorati, 1919 circa; “In tram” di Virgilio Guidi, 1923; “Un caduto” di Leonardo Dudreville, 1919 (una tra le opere italiane dell’epoca più vicine alle ricerche della Neue Sachlichkeit) e “Donna che si asciuga” di Libero Andreotti, 1922».

È anche l’occasione per riscoprire artisti meno noti ma all’epoca di primo piano, come, appunto, il genovese Sexto Canegallo, oppure «il trentino Dario Wolf, nelle cui acqueforti suggestioni teosofiche ed esoteriche, in cui si combinavano rimandi alle ricerche di Raoul Dal Molin Ferenzona e di Julius Evola (con il quale era entrato in contatto a Roma nei primi anni venti), trovarono un originale riscontro, tra maledettismo e spirituale preveggenza, nella raffigurazione di temi di montagna».

Non manca un’opera chiave del periodo, «L’Idolo del Prisma» di Ferruccio Ferrazzi, giacché il Realismo Magico costituì uno dei territori, come il mito, del resto, in cui gli artisti, secondo i curatori, trovarono una via di fuga da una disturbante quotidianità: «Allestiamo l’opera di Ferrazzi, che venne esposta alla mostra Italienische Maler al Kunsthaus di Zurigo nel 1927 e alla personale dell’artista alla I Quadriennale romana del 1931, accanto al dipinto “Bambola nella vetrina” del 1919, con cui iniziò la genesi dell’“Idolo del prisma”; infine di Arturo Marini, con cui la mostra prende avvio, con il bassorilievo in gesso “La tempesta”, 1926 circa (esposto alla XV Biennale di Venezia del 1926 e opera pressoché inedita) presentiamo abbinate nell’ultima sala due straordinarie sculture: il bronzo “La lupa ferita”, 1930-1931 e “La Pisana”, 1928».

Nel decennio in cui Joyce pubblica Ulisse, Thomas Mann La Montagna incantata, Proust la Recherche, mentre in Huxley germinava Il mondo nuovo, «in Italia appaiono Hermaphrodito di Savinio, Notturno di D’Annunzio, Il Canzoniere di Saba, Il porto sepolto di Ungaretti (con prefazione di Benito Mussolini), Ossi di seppia di Montale e Uno, nessuno e centomila di Pirandello e del 1921 è la prima rappresentazione a Roma di Sei personaggi in cerca d’autore», sottolinea Fochessati. «La nostra lettura del periodo ha cercato di mettere in rilievo, anche attraverso l’esposizione di prime edizioni di tali opere, corrispondenze e relazioni tra le arti figurative e la letteratura. Inoltre lo stesso catalogo, oltre a ricostruire il clima artistico del decennio (con i testi dei due curatori curatori e il saggio di Fabio Benzi), e il periodo storico (con i saggi di Patrizia Dogliani, Ferdinando Fasce e Teresa Bertolotti) propone un denso testo di Andrea Cortellessa, dedicato alla letteratura postbellica, con ampi riferimenti a d’Annunzio, Bontempelli, de Chirico, Savinio, Marinetti, ecc.».

Rischioso, ma irrestistibile, un paragone tra i nostri tempi e gli anni Venti: «La nostra aspirazione, conclude il curatore, è stata anche quella di mettere in evidenza alcune corrispondenze esistenti tra gli anni Venti e l’epoca odierna e che noi abbiamo riscontrato nel dominante clima di incertezza e di transizione, nella latente violenza che caratterizzava e caratterizza la quotidianità, nello scontro sociale che, fortemente segnato allora dalla lotta di classe, si ripropone oggi a livello planetario nelle problematiche legate alle migrazioni dei popoli».

«Millenovecentodiciannove (Il reduce)», 1929-1930 (particolare), di Ardengo Soffici, Museo di Palazzo Pretorio, Prato

Franco Fanelli, 04 ottobre 2019 | © Riproduzione riservata

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