Giuseppe Capogrossi in una foto degli anni Sessanta di Pietro Pascuttini

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Giuseppe Capogrossi in una foto degli anni Sessanta di Pietro Pascuttini

Progetto Capogrossi: una mostra e eventi diffusi

A cinquant’anni dalla morte del pittore romano, la Gnam fa dialogare le sue opere figurative con quelle segniche. A ottobre venticinque musei propongono conferenze, laboratori e visite mirate

Il 9 ottobre prossimo ricorrono i cinquant’anni dalla morte di Giuseppe Capogrossi (Roma, 1900-72), annoverato con Lucio Fontana e Alberto Burri tra gli artisti all’origine dell’arte italiana del secondo Novecento. La Fondazione Archivio Capogrossi ha concepito per l’occasione un progetto articolato, «Capogrossi. Il segno nei musei e nelle istituzioni italiane», volto a delineare la struttura fondante del suo linguaggio espressivo (catalogo Editoriale Artemide).

Apre l’anniversario, dal 20 settembre al 30 ottobre, la mostra alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, «Dietro le quinte». Curata da Francesca Romana Morelli, autrice con Guglielmo Capogrossi del catalogo ragionato dell’opera figurativa dell’artista, ha il coordinamento scientifico di Claudia Palma, responsabile degli archivi storici del museo, e il sostegno di Ghella e di UniCredit, sponsor ufficiali.

La mostra tesse un fitto dialogo tra opere figurative e segniche: accostate per concezioni formali, assonanze stilistiche e cromatiche, esse rendono visibile l’autentica e complessa fisionomia dell’artista, che si rivela non un Giano bifronte o un artista bizzarro che intorno al 1950, all’improvviso, rinnega trent’anni della sua storia figurativa.

È lo stesso Capogrossi a spiegare gli schemi ideali della sua intera ricerca, asserendo di essere «convinto di non avere sostanzialmente cambiato la mia pittura, ma di averla soltanto chiarita. [...] ho sempre pensato che lo spazio è una realtà interna alla nostra coscienza e mi sono proposto di definirlo» (la citazione è tratta da «The new decade: 22 European painters and sculptors», MoMA, New York 1955).

Sono state scelte opere, che in molti casi non si vedono da decine di anni, spesso rimaste nelle collezioni originali, come «Superficie 68», «Superficie 274», opere appartenute agli architetti Moretti e Monaco, ma anche l’astrattizzante «Vestibolo degli uomini», in cui una donna nuda con il volto coperto, probabilmente Elsa Morante, amica di tutta una vita, attraversa uno spogliatoio maschile, oppure la surreale natura morta «Sogno d’acquario».

Dal 9 ottobre, poi, circa venticinque tra musei e istituzioni italiani che possiedono opere di Capogrossi organizzeranno nelle rispettive sedi conferenze, laboratori, visite mirate, affrontando aspetti della vita artistica e personale del pittore. Curato da Patrizia Rosazza Ferraris, l’evento ha permesso di fare un bilancio dell’interesse del collezionismo, da quello pubblico agli odierni collezionisti privati.

Tra questi figura chi ha creato proprie fondazioni, come i romani Claudio ed Elena Cerasi, che a Palazzo Merulana hanno reso fruibile al pubblico la loro raccolta, comprensiva del capogrossiano «Ballo sul fiume». Hanno inoltre aderito al progetto della Fondazione Archivio Capogrossi, tra gli altri, la Gam di Torino, Brera e il Museo del Novecento di Milano, Palazzo Revoltella di Trieste, Palazzo Pitti di Firenze e Castel Sant’Elmo-Museo del Novecento di Napoli.

Infine tra novembre e dicembre saranno organizzati degli eventi incentrati sul rapporto tra il «segno» capogrossiano e l’architettura, che ha affascinato figure quali Luigi Moretti, Adalberto Libera, Vincenzo ed Edoardo Monaco, ovvero gli architetti che hanno elevato gli stilemi di Capogrossi a elementi dello spazio, anche urbano, come la grande terrazza della sede della Confindustria a Roma.

Giuseppe Capogrossi in una foto degli anni Sessanta di Pietro Pascuttini

«Superficie 274», di Giuseppe Capogrossi

Guglielmo Gigliotti, 20 settembre 2022 | © Riproduzione riservata

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Progetto Capogrossi: una mostra e eventi diffusi | Guglielmo Gigliotti

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