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Pittura in Frigo

Federico Florian

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«L’immagine accade, il colore è un evento. La pittura è performance»: con questo assunto il giovane pittore vicentino Giulio Frigo (classe 1984), ora residente a Berlino, rivela come la pittura sia una questione di movimento più che di stasi.

Quando contempliamo un’opera d’arte, nello specifico un dipinto, l’immagine, spiega,  «affiora sulla soglia della superficie», poiché la percezione dei colori, delle pennellate e delle forme è mobile; quest’ultima muta, cresce e si perfeziona nel tempo della fruizione. Se l’immagine accade e il colore è un evento, allora la pittura diviene performance: obiettivo di Frigo è «esplorare il modo in cui avviene la trasmissione dell’immagine alla nostra vista» e «indagare quel luogo tra occhio e luce, tra soggetto e oggetto, tra fisico e mentale» in cui si colloca la percezione estetica.

Francesca Minini ospita, fino a metà novembre, una personale di Frigo, dal titolo «360 780 nm» (gli estremi dello spettro che definiscono la regione di luce visibile). L’esposizione raccoglie una decina di nuovi dipinti a olio figurativi, attivati da una luce dinamica, il cui movimento ne complica la percezione, ribadendo il carattere performativo dell’arte del dipingere.

La luce, non solo come elemento fondamentale della visione ma anche come dispositivo scenico, è una preoccupazione costante nelle mostre di Frigo: in «Chora», la sua prima personale nelle stessa galleria Minini (2012), la luce dei faretti puntati sui singoli lavori veniva innescata inserendo delle monete in una cassetta.

Federico Florian, 15 ottobre 2015 | © Riproduzione riservata

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