«Spazio di luce» (2008), di Giuseppe Penone. © Archivio Penone

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«Spazio di luce» (2008), di Giuseppe Penone. © Archivio Penone

Penone universale nella Galleria Borghese

Trentasei opere dagli anni Settanta ai Duemila si mettono in dialogo con la collezione del museo

Trentasei opere di Giuseppe Penone, realizzate tra gli anni Settanta e i primi Duemila, danno vita, dal 14 marzo al 28 maggio, alla mostra «Gesti Universali» nella Galleria Borghese. Curata da Francesco Stocchi, l’esposizione si sviluppa tra vari ambienti e i giardini della residenza extraurbana che il cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, si fece erigere a inizio XVII secolo dagli architetti Flaminio Ponzio e Giovanni Vasanzio per farne sede espositiva della sua collezione d’arte antica e moderna.

Il Casino Borghese, come venne chiamato allora, sorgeva in quella tenuta di famiglia che è oggi nota come Villa Borghese, polmone verde della città e contesto ideale per la sensibilità di Penone per il rapporto tra arte e natura. Il percorso espositivo interno si snoda in quattro sale: nella Sala di Mariano Rossi il visitatore è accolto da una sequenza di sei grandi alberi, scavati in travi lignee, a illustrare un processo creativo a ritroso, che dall’artificio torna alla natura.

L’albero, nelle parole di Penone, è «l’idea prima e più semplice di vitalità, di cultura, di scultura». Nella Sala di Apollo e Dafne sono allestite le opere del ciclo «Respirare l’ombra», nella grande Sala degli Imperatori protagonisti sono i lavori della serie «Soffio di foglie», mentre nella Sala di Enea e Anchise campeggia la grande «Pelle di cedro» accanto a «Guardare l’aria». È proprio il respiro, secondo il curatore, il filo rosso della mostra, perché «l’artista si è impegnato a intercettare quel soffio che gira in questi ambienti così connotati. Questa non è una mostra di opere site specific, ma un innesto di opere di oggi nel mondo di ieri. Penone è entrato qui in punta di piedi e, guidato dall’ammirazione, ha cercato quel punto di incontro tra la sua poetica e l’ambiente, il punto capace di accendere il dialogo».

Fulcro ideale è proprio la Sala di Apollo e Dafne, che prende il nome dal capolavoro giovanile di Gian Lorenzo Bernini, in cui la scultura si trasforma in natura, tema a cui Penone è molto sensibile. «In questi ambienti antichi e già saturi d’arte, aggiunge Stocchi, Penone incontra anche il fattore tempo e la dimensione della storia». La diade penoniana di cultura-natura si arricchisce quindi di un terzo elemento, che mette in prospettiva il gesto artistico.

Ciò avviene anche per le opere allestite nei giardini del Casino Borghese, quello dell’Uccelliera e quello della Meridiana: qui le opere proseguono il loro dialogo con il tempo, ma collocate in una natura governata da un senso artificiale di armonia. Per Penone tuttavia, non esiste soluzione di continuità tra interno ed esterno del suo viaggio dentro gli splendori della Galleria Borghese. «È tutto solo un grande respiro», conclude il curatore.

«Spazio di luce» (2008), di Giuseppe Penone. © Archivio Penone

Guglielmo Gigliotti, 14 marzo 2023 | © Riproduzione riservata

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Penone universale nella Galleria Borghese | Guglielmo Gigliotti

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