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Parlano i direttori dei venti supermusei: la Galleria Borghese di Roma

Federico Castelli Gattinara

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È l’unica tra i direttori dei venti supermusei a essere rimasta in sella

Anna Coliva, storica dell’arte in forza al Mibact dal 1980, lavora dal 1994 alla Galleria Borghese, riaperta nel 1997 grazie all’allora ministro Walter Veltroni dopo 14 anni di chiusura: ne ha seguito restauri e riallestimento e dal 2006 ne è la direttrice. Suo il programma «Dieci mostre in dieci anni» su grandi temi o artisti legati alla collezione, in collaborazione con i maggiori musei internazionali, e una non scontata attenzione al contemporaneo. Nel 2013 ha creato «Mecenati della Galleria Borghese» e la Francia le ha conferito la Légion d’Honneur.

Che cosa ha convinto il Ministero a farla rimanere?

Credo il fatto che qui in Galleria da tempo cerchiamo di mettere in pratica quanto adesso codificato dalla riforma, finora con una fatica enorme. Un esempio? Le mostre: bastava un cambio di soprintendente e un programma rilevante, pluriennale, complesso come il nostro, che ha convinto tanti prestatori e sponsor e creato una fidelizzazione del pubblico, rischiava di saltare. È accaduto per davvero, per fortuna una volta sola, con un progetto collegato pretestuosamente a un’iniziativa religiosa (l’Anno della Fede) ma che in realtà puntava a esporre opere senza alcuna attinenza con il museo, con l’unico scopo di imporre un sovrapprezzo.

La riforma che cosa migliora?

Evita simili problemi ed elimina burocrazia, ci dà quindi una grandissima opportunità  di muoverci con un progetto e un’efficienza maggiori. Facilita la coerenza, l’affidabilità, la programmazione, tutti elementi attrattivi di pubblico, sponsor e partner internazionali. L’incertezza, l’assenza di garanzie, il navigare a vista, sono il vero dramma di questo Paese. Non c’è nulla di male nel rendere dinamica e coinvolgente l’attività espositiva, se rimane aderente alle finalità del museo di studio e conoscenza della collezione, da trasmettere ai visitatori. Puntiamo non da oggi a un pubblico che torna, come è normale nei musei di tutto il mondo, e a farci seguire dalla stampa internazionale. L’ultima mostra, su Azzedine Alaïa, ha avuto la prima pagina del «New York Times».

Non è facile esporre in un luogo così potentemente connotato.

È difficile far capire che non è un set, una location, che tutto dev’essere in rapporto al nostro scopo istituzionale. Le richieste sono tante, ma qui non ci possiamo permettere banalità. Giacometti o Alaïa, per esempio, sono mostre sul concetto di scultura, che è un elemento dominante della collezione Borghese.

Un difetto della riforma?

La mancanza di personale, specie amministrativo. Entrate, uscite, bilanci, gare d’appalto, i dati per la trasparenza, tutto questo deve farlo uno specialista, non si improvvisa. Per tanti di noi, per chi non si è sovrapposto a strutture già esistenti come gli Uffizi o Brera, la situazione è drammatica. La realtà è che siamo solo in quattro, oltre ai custodi.

Quali i suoi provvedimenti urgenti?

Le gare per i servizi aggiuntivi, il rinnovo dell’accoglienza, oggi inadeguata. Vogliamo che chi si aggiudica la gara riprogetti tutto lo spazio, dia un servizio all’altezza, d’eccellenza anche sotto il profilo gastronomico. Pensiamo anche a una ristorazione la sera, svincolata dalla Galleria, con possibilità di visite riservate a museo chiuso. Poi la riaggregazione di tutti gli spazi, verdi e non, storicamente e architettonicamente parte della Galleria e della villa, frammentati tra varie gestioni e spesso con destinazioni improprie. Infine la vigilanza, dove verranno introdotti i sistemi di sicurezza che oggi mancano, a partire dai metal detector. 

E la ricerca?

Deve tornare nei musei, come caldeggia la riforma, non possono essere solo le università e gli stranieri a studiare le nostre opere. La Galleria sarà al centro di un grande progetto digitale su Caravaggio, già strutturato e in partenza, un centro internazionale sostenuto dalla Normale di Pisa dove convergeranno tutti i documenti, studi, dati acquisiti sulle opere del pittore, a cominciare dalle nostre, con collegamenti in rete con tutti i musei del mondo che abbiano sue opere. 

Quali sono le criticità della Galleria?

Gli impianti, fatiscenti, che vanno rifatti. È la solita storia: niente fondi, ditte che vogliono fare i lavori e non la manutenzione, mancanza di personale specializzato che controlli. Adesso abbiamo i soldi, dobbiamo fare la gara, i tempi non saranno brevi e rischiamo di avere un anno con la climatizzazione malandata. Per non parlare dei computer. 

Come valuta la rottura del legame con la Soprintendenza? 

Per noi vuol dire l’eliminazione di passaggi burocratici, di step autorizzativi, in una parola: semplificazione. 

Quali sono i progetti per le mostre?

Mi auguro che, come ha ribadito più volte il ministro, tornino una buona volta a essere ideate e prodotte all’interno dei musei e non più dalle società di servizi, che sono a scopo di lucro. Abbiamo già un programma importante: a ottobre una mostra sull’origine della natura morta in Italia, con opere dal 1593 al 1630. Nel 2017 una nuova ricognizione su Bernini pittore e scultore a vent’anni dalla rassegna che facemmo per il IV centenario della nascita. Nel 2018 Picasso e la scultura, in collaborazione con i musei francesi, in particolare il Musée Picasso. Tra il 2016 e il 2017 un progetto di Yang Fudong esclusivo per la Galleria, insieme al Museo Aurora di Shanghai.

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Federico Castelli Gattinara, 16 marzo 2016 | © Riproduzione riservata

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