«Peace girl», a sinistra, e «Proud parents», a destra, due opere di Shepard Fairey

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«Peace girl», a sinistra, e «Proud parents», a destra, due opere di Shepard Fairey

Okay, Obey

Una mostra di Shepard Fairey alla galleria Rosso27

Silvano Manganaro

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Soprattutto dopo l’ultimo coup de théâtre all’asta di Sotheby’s, il nome di Banksy è ormai universalmente noto anche al grande pubblico. Citando invece Frank Shepard Fairey, forse nessuno (o quasi) saprebbe dire chi sia. Un po’ meglio andrebbe con il suo pseudonimo: Obey.

Ma senza alcun dubbio tutti conoscono il poster in quadricromia di Barack Obama dal titolo «Hope»: l’immagine simbolo della campagna elettorale del 2008, divenuta talmente famosa da entrare nella National Portrait Gallery di Washington.

Dal 24 novembre al 22 dicembre la galleria Rosso27 ospita un’esposizione di 55 serigrafie di Fairey, un nucleo che ne ripercorre l’intera carriera dal 1988 ad oggi. La mostra prende il titolo da un’altra sua celebre stampa, «Peace Girl»: il ritratto di una donna che rimanda allo stile Liberty con la scritta «Make Art Not War». In galleria è esposta una serie di immagini di grande efficacia comunicativa che occhieggiano alla grafica di inizio secolo, ma anche a quella degli anni ’60 e ’70.

Lo stile di Obey è inconfondibile, così come incontestabile è la caparbia volontà di creare un vero e proprio brand, con tanto di siti internet che mettono in vendita poster, adesivi, magliette, felpe, gadget, skateboard ecc. Un approccio che ha fatto storcere il naso a molti «puristi» della Street art ma che ha innegabilmente contribuito a fare di Fairey un vero imprenditore di se stesso che dalla Carolina del Sud (dove è nato nel 1970) si è guadagnato la ribalta mondiale.

«Peace girl», a sinistra, e «Proud parents», a destra, due opere di Shepard Fairey

Silvano Manganaro, 23 novembre 2018 | © Riproduzione riservata

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Okay, Obey | Silvano Manganaro

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