Image
Image

Oh direttore, mio direttore

Secondo l’uomo che per oltre quarant’anni ha diretto il Museo Benaki, la cultura greca è un parametro tramite il quale è ancora possibile «misurare il modello di valore della verità che l’espressione artistica può contenere»

Elizabeth Plessa

Leggi i suoi articoli

Nato ad Atene nel 1937, Angelos Delivorrias ha studiato alle Università di Salonicco e di Friburgo e ha completato il suo dottorato di ricerca all’Università di Tubinga nel 1972, cui sono seguiti studi alla Sorbona e all’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Nel 1973 è stato nominato direttore del Museo Benaki. È stato professore di Storia dell’Arte all’Università di Atene e visiting scholar, tra gli altri, alla Kommission für Alte Geschichte und Epigraphik di Monaco, all’Institute for Advanced Study a Princeton e al J.P. Getty Museum di Los Angeles.

È stato insignito dell’onorificenza di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres e dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana. Dal 2016 è membro dell’Accademia di Atene. Angelos Delivorrias è tra i pochi studiosi al mondo ad aver interpretato il fregio del Partenone ed è considerato un esperto di scultura greca classica. Le sue competenze di studioso (il suo ultimo progetto sono gli scavi al Santuario di Apollo Amyklaios a Sparta) sono arricchite da una rara capacità, sia sintetica sia analitica, di riunire una conoscenza incredibilmente ampia e profonda sulla storia e la civiltà greca.

Come lungimirante direttore del Museo Benaki per oltre quarant’anni ha concepito la riorganizzazione e il nuovo allestimento delle collezioni, all’interno di un totale rinnovamento e ampliamento della sede centrale, come panorama della cultura greca dalla Preistoria ai giorni nostri. Ha arricchito il museo di numerose opere, collezioni e fondi, che è riuscito a ottenere grazie al suo carisma personale. Il nome di Angelos Delivorrias è sinonimo di Museo Benaki perché, in tempi molto inquieti, lo studioso tuttora vive e lavora instancabilmente tra le sue mura. Sebbene sia membro del Consiglio di amministrazione dal 2015, per la maggior parte dei dipendenti del museo egli rimane «Il mio direttore». 

Lei è una celebrità nel mondo dell’archeologia e ha mantenuto alto il ruolo della Grecia anche in ambito internazionale. Un doppio ruolo non facile.
È un approccio dovuto all’osservare, in pari misura, sia il mondo greco sia il contesto internazionale. Direi che si basa su una forma di cosmopolitismo sociale, proporzionale alla mia meraviglia per tutto ciò che la cultura umana ha raggiunto nel mondo nel corso dei secoli. Tuttavia, non intendo parlare della mia esperienza attuale.

Le era servita la sua esperienza romana all’Accademia dei Lincei?
Tenendo conto delle mie esperienze sulla realtà della Grecia moderna, vorrei rimarcare il comportamento d’alto livello, la gentilezza degli interlocutori, il dialogo che può nascere anche da visioni fondamentalmente in disaccordo.

Hanno influito la sua educazione e il suo lavoro nel campo dell’archeologia? Che relazioni hanno archeologia e arte?
I miei insegnanti mi hanno instillato l’amore per l’arte greca antica di tutte le epoche, un’arte che prende l’essere umano come sua misura. Da ciò nasce la mia convinzione che le opere di quest’arte, proprio come le opere d’intelletto che rientrano nello stesso ambito, possono essere fonte di inestimabili informazioni sulla storia, la società, le credenze e la morale dell’antica Grecia. Allo stesso tempo, il loro ricordo funziona come una scala tramite la quale si può misurare in generale il modello di valore della verità che l’espressione artistica può contenere.

Ma lei che cosa cerca in un’opera d’arte?
L’arte è un marchio indelebile e inconfutabile della consapevolezza su tela, pietra, metallo, carta, palco teatrale, poesia, parola ecc. Per questa ragione, ogni volta che la incontro, ne cerco i legami con i parametri misurabili del sapere.

Nel suo rapporto con l’arte ha avuto incontri indimenticabili?
Non mi dimenticherò mai il giorno in cui ho visto la «Maestà di Santa Trinita» di Cimabue alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Erano gli anni della giunta militare greca e vivevo in Germania. L’opera mi scosse profondamente, riportando a me l’arte bizantina dopo tanti anni. Visitare la splendida retrospettiva postuma su Picasso al Grand Palais di Parigi fu un altro forte shock in quanto mi resi conto del potenziale inesauribile dell’espressione artistica di trarre ispirazione dalle realtà attuali piuttosto che da quelle virtuali.

Quale ruolo ritiene possano avere arte e cultura per la Grecia di oggi?
Nonostante tutti i governi successivi abbiano proclamato senza esitazione che la cultura è l’industria di punta della Grecia, il loro interesse verso il settore e le somme di denaro investite nella ricerca, protezione e promozione nel campo sono risibili. E ancor prima di entrare nell’associazione innaturale tra cultura e turismo e il mondo dello sport, discutibile a livello internazionale.

La Grecia contemporanea riesce ad avere connessioni con il suo passato antico? Che cosa pensa il cittadino greco medio del passato?
Non so fino a che punto il greco medio si renda conto di questa connessione. La maggior parte degli  osservatori lo identifica nella resilienza e nell’idiosincrasia della lingua greca, nella sopravvivenza di modi particolari di operare e comportarsi nella vita quotidiana, in un’inclinazione alla lotta e alle espressioni di patriottismo in tempo di crisi.

Qual è, secondo lei, il ruolo attuale della Grecia nel campo dell’arte internazionale?
Non commenterei il suo ruolo oggi, ma piuttosto il ruolo che dovrebbe avere in una comunità internazionale, tuttavia non la comunità come la si vede ora. La Grecia dovrebbe essere in grado di intavolare un dialogo, partecipare, valutare e condividere il processo decisionale. Dovrebbe anche difendere la sua produzione, promuoverla ed esportarla. Infine, dovrebbe anche imparare a non dipendere dai prestiti!

La lunga crisi finanziaria greca quanto ha pesato sulle attività delle istituzioni culturali, nello specifico sul Museo Benaki, che lei ha diretto per tanti anni?
Le istituzioni culturali, e non mi riferisco solamente a quelle ateniesi, possono appena far quadrare i conti, quando riescono a sopravvivere. Ad esempio, il Museo Benaki è stato costretto a licenziare quasi la metà dei dipendenti e ridurre drasticamente gli stipendi. Ma non getta la spugna e, nonostante le circostanze negative, riesce a trovare modi che ne permettono la sopravvivenza. Per fortuna, ha molti amici in Grecia e all’estero.

Che cosa pensa delle recenti e prossime aperture, che malgrado tutto, un gran numero di importanti fondazioni culturali (Onassis Cultural Centre, Niarchos Foundation Cultural Center, National Museum of Contemporary Art, Basil and Elise Goulandris Foundation, il restauro completo della National Gallery…) realizzano ad Atene?
Tutte le principali istituzioni culturali fanno del loro meglio con i fondi limitati che si ritrovano per ravvivare la vita culturale greca, principalmente ad Atene e meno nella periferia del Paese, mantenendo la loro agenda culturale distinta e autonoma. Sono le «piccole» istituzioni culturali che stanno soffrendo di più, principalmente rispetto alle coalizioni urgentemente necessarie nel mondo artistico e intellettuale.

C’è un gap tra settore pubblico e settore privato oggi in Grecia?
Il gap è praticamente insanabile, anche per un’istituzione come il Museo Benaki che, da una parte, è costituzionalmente indipendente, ma dall’altra è stata lasciata in gestione allo Stato greco.

Documenta 14, che quest’anno si è tenuta anche ad Atene, è stata positiva per creare un ponte tra la Grecia e l’arte contemporanea europea? Che impatto ha avuto sull’arte locale?
Dal 2015, quando ho lasciato la direzione del Museo Benaki, ho cercato di dedicarmi agli interessi personali accademici che avevo trascurato. Ho anche cercato di limitare per quanto possibile i miei impegni sociali e la mia partecipazione alla vita culturale di Atene. Per quanto riguarda il mio appagamento, viene soddisfatto, come ho detto prima, con l’arte greca ed europea dal Rinascimento al primo XX secolo.

Il «suo» Museo Benaki è una gloria per la Grecia. In una frase, come lo descriverebbe?  Quale ruolo riesce ad avere in Grecia e nel mondo? Che futuro prevede per il museo?
Nell’edificio principale del museo è esposta una breve sinossi di una diacronia greca. La cultura islamica viene promossa in modo indipendente in associazione a questa diacronia in modo avanguardistico nel campo museale internazionale. È un museo prettamente educativo per la Grecia e il suo carattere lo rende attraente ai molti visitatori oltre che alla comunità internazionale. Io l’ho sempre visto come in costante espansione, in quanto sono fermamente convinto che un organismo vivente debba svilupparsi o è soggetto alla morte.

Quali sono oggi i suoi interessi prevalenti dopo una vita tanto prolifica? Ha patito un conflitto tra la sua passione personale per la ricerca e le esigenze quotidiane del Museo Benaki?
Ultimamente sono tornato con rinnovato vigore alla mia ricerca e alle pubblicazioni sull’arte e la cultura greca nei secoli, continuando parallelamente la mia attività archeologica presso il santuario di Apollo di periodo arcaico di Amyclae, vicino Sparta. Tuttavia, anche quando ero occupato full time, ho continuato le mie ricerche grazie al sostegno dell’ente governativo del Museo, che mi ha permesso di assentarmi periodicamente e lavorare presso istituzioni accademiche in Europa e America.

Quale considera sia la cosa più importante nella vita di un uomo?
Compiere i propri obblighi sociali che, come unità indissolubile, comportano tutti gli altri obblighi verso la famiglia, la nazione, il sapere, le convinzioni e le ideologie.

Elizabeth Plessa, 11 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

Articoli precedenti

Al Museo Benaki la vita e la carriera del critico, editore, gallerista e collezionista

Oh direttore, mio direttore | Elizabeth Plessa

Oh direttore, mio direttore | Elizabeth Plessa