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Walter Guadagnini
Leggi i suoi articoliUna condivisa passione per la fotografia, utilizzata non come strumento primario di espressione, ma come luogo delle sperimentazioni, degli affondi poetici, spazio di libertà e di ricerca, accomuna figure all’apparenza così diverse per scelte estetiche e anche per anagrafe come Peter Beard, Christo, Anselm Kiefer, Youssef Nabil, Shirin Neshat, Luigi Ontani, Arnulf Rainer, Gerhard Richter e Mario Schifano. Questi autori sono riuniti oggi nella mostra «La fotografia dipinta», ospitata dalla galleria The Lone T di Milano, occasione preziosa per riflettere sui rapporti, da sempre ricchi di suggestioni, tra pittura e fotografia (dall’11 aprile al 15 maggio, catalogo edizioni Nuovole Rosse con testo di Luca Massimo Barbero).
Dai tempi di Felice Beato e della Scuola di Yokohama, passando per la lunga stagione pittorialista, l’idea di aggiungere colore alla fotografia con procedimenti manuali ha accarezzato le pratiche fotografiche, ma ha anche ricevuto sguardi tra lo sdegnoso e lo scandalizzato dai puristi. Con gli anni Ottanta e con la definitiva affermazione della fotografia come pratica artistica centrale nel panorama espositivo e commerciale, anche questo ultimo tabù è caduto, e figure come quelle di Luigi Ontani, Shirin Neshat, Youssef Nabil si sono imposte anche grazie all’uso di queste tecniche.
Ma la mostra evidenzia anche l’importanza di figure come quelle di Gerhard Richter, pittore che è giusto annoverare tra i più lucidi pensatori della e sulla fotografia, di Mario Schifano, di Christo, di Arnulf Rainer o di Peter Beard, che proprio dell’attraversamento tra i confini disciplinari hanno fatto uno dei capisaldi delle loro poetiche. Paesaggi, autoritratti, ritratti, citazioni colte e memorie private, modificazioni, aggiunte, cancellazioni, tutto rientra in queste immagini, quasi sempre di piccolo formato, raffinati esercizi sul linguaggio pittorico e su quello fotografico, e sulle loro sorprendenti convergenze.
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