«Sacrificial Vessels Trio» di Michael Schunke, 2019 © Dominic Episcopo

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«Sacrificial Vessels Trio» di Michael Schunke, 2019 © Dominic Episcopo

Nuovo sbarco degli americani a Venezia

155 opere raccontano la storia di Studio Glass

Il 6 settembre Le Stanze del Vetro riaprono con la mostra «Venezia e lo Studio Glass Americano», a cura di Tina Oldknow e William Warmus (già curatori al Corning Museum of Glass di New York). L’esposizione, che si sarebbe dovuta inaugurare a marzo, proseguirà fino al 10 gennaio con una selezione di 155 lavori provenienti da Stati Uniti ed Europa: installazioni, vasi e sculture che racconteranno la storia del movimento Studio Glass.

Fondato all’inizio degli anni Sessanta dall’artista ceramista statunitense Harvey K. Littleton, ha spogliato l’oggetto della sua funzionalità e lo ha affrancato dalla produzione industriale riportandolo allo status di forma d’arte da praticare in studio, dove sperimentare varie tecniche di lavorazione (soffiatura in primis). Chi plasma la materia è dunque designer e artefice al tempo stesso. Del movimento e della mostra parlano i due curatori Tina Oldknow e William Warmus.

Quali sono gli elementi che caratterizzano Studio Glass?
WILLIAM WARMUS. The American Studio Glass, fondato da Littleton e altri nel 1962, si caratterizzò per concentrarsi sia sulle competenze da acquisire all’interno di uno studio d’artista sia sulla formazione universitaria. La fornace divenne per questo gruppo di artisti emergenti quello che il cavalletto è per un pittore. Avevano bisogno di una road map da seguire per non perdere la strada. Venezia e le tradizioni di Murano divennero quella mappa.

Influenze reciproche, ispirazioni, studio delle tecniche. Come traducete in mostra il rapporto tra Venezia e gli artisti d’oltreoceano?
TINA OLDKNOW. Bill Warmus e io abbiamo riunito un gruppo di lavori realizzati da artisti americani che studiarono a Venezia e/o vi lavorarono esplorando la lavorazione veneziana attraverso la propria produzione. Le opere sono diverse per soggetto e dimensioni. Tra quelle americane per stile e concezione, ma veneziane per esecuzione, le più rappresentative sono le opere di Richard Marquis (1945 Ndr). Motivi come la bandiera americana, il crazy quilt e «Lord’s prayer», tipici dell’arte popolare americana, sono elaborati con tecniche veneziane (a canne, murrine, filigrana) realizzando una fusione tra le due culture. Anche Nancy Callan (1964 Ndr) raggiunge lo stesso risultato, ma in modo differente.

Chi sono gli artisti più giovani in mostra?
W.W. Tra i più giovani artisti esposti c’è Nancy Callan, che per molti anni ha lavorato e studiato da Lino Tagliapietra. Il suo obiettivo, come lei stessa afferma, è «prendere queste tradizioni veneziane e dare loro una nuova forma nella mia immaginazione, portarle nel XXI secolo. Un momento decisivo è stato quando ho cominciato a fare cose che credevo impossibili». Un esempio? Nancy ama usare la tecnica della canna e ha trovato un modo per farlo senza intrappolare bolle d’aria. Questo metodo ha ispirato la decorazione delle sue originalissime opere «Anemone». Poi c’è Norwood Viviano (1972 Ndr), che nelle «Città Sottacqua» del 2018-19 unisce forme cilindriche ispirate dal vetro italiano ai risultati di avanzate ricerche statistiche che stimano la perdita di territorio in varie città a causa dell’innalzamento dei mari in un periodo di 500 anni. E di Raven Skyriver (1982), la padronanza tecnica indica la maturità artistica. Raven Skyriver crea graziosi animali lavorando il vetro a caldo: non ci sono ossa nelle sue creature marine, eppure le ossa definiscono le proporzioni. Scolpisce superfici esteriori modellate da una struttura interna (il difficile metodo di modellare dall’interno con speciali strumenti e tecniche imparate da Pino Signoretto tramite William Morris). Scalda e spinge giù il naso per plasmare la fronte. Tira fuori le orbite degli occhi per imitare la struttura ossea sottopelle. Skyriver vuole che le sue creature ci guardino e ricambino il nostro sguardo, vuole che abbiano un’anima e non la precisione «clinica» e la vacuità kitsch del vetro destinato ai turisti.

«Sacrificial Vessels Trio» di Michael Schunke, 2019 © Dominic Episcopo

Tina Oldknow

William Warmus

Veronica Rodenigo, 06 settembre 2020 | © Riproduzione riservata

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