«Besides the Still Waters» (2022), di Ikeorah Chisom Chi-Fada

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«Besides the Still Waters» (2022), di Ikeorah Chisom Chi-Fada

Narrazioni e interpretazioni di Ikeorah Chisom Chi-FADA

Dalle vicende personali alla storia del suo Paese, l’artista nigeriano alla sua prima mostra da Osart Gallery spiega come nascono e che fruizione immagina per i suoi intensi dipinti

Dal 5 maggio al 8 luglio Osart Gallery presenta la prima personale in Italia di Ikeorah Chisom Chi-FADA (Lagos, 2000) dal titolo «When You Lose the Ground Under Your Feet, Will You Stay Here With Me?». Il progetto espositivo, che segna l’inizio di una nuova collaborazione tra la galleria e il giovane autore, si compone di dieci dipinti che esplorano il potenziale di una pittura figurativa che non conosce soluzione di continuità con il reale, con l’equilibrio fragile e friabile su cui si regge l’esistenza umana, ma che si rivela capace di intrecciarlo con la ricchezza passionale della narrazione e della sua interpretazione.

Lei è cresciuto in un contesto di vibrante energia creativa che, immagino, ha avuto un ruolo importante nella sua formazione. Come ha sviluppato la sua ricerca artistica?
Nonostante io sia un artista autodidatta e nel tempo abbia affinato le mie capacità, sperimentando vari mezzi per costruire il mio linguaggio visivo, non posso sottovalutare il ruolo della comunità nello sviluppo del mio percorso. Essere nigeriani significa essere circondati da molte persone creative. Ho trascorso la mia infanzia a Lagos, insieme a coetanei di grande talento. Ricordo che noi bambini disegnavamo e vendevamo le illustrazioni dei supereroi per comprare matite, blocchi per fare schizzi e altri fumetti. Crescere in questo contesto, oltre a rendermi felice e appassionato, mi ha dato uno scopo. Nonostante non potessi frequentare musei e gallerie, ho letto molta letteratura, autori che hanno giocato un ruolo cruciale nello sviluppo della mia creatività e che ancora adesso influenzano la mia pratica.

Parlando della mia famiglia, anche mio padre amava disegnare. Ma fu costretto ad abbandonare la sua passione per imparare un
«vero mestiere», intendo dire redditizio. In casa le pressioni erano molte, mia madre non voleva che io andassi incontro alla stessa sorte di mio padre, certa che, come artista, non avrei avuto un futuro brillante e così per un dato periodo di tempo ho smesso di disegnare, concentrandomi esclusivamente sulla scuola. È stato un incidente accaduto quando avevo solo sei anni, un incendio in cui ho rischiato di perdere la mia unica sorella, e i traumi e la depressione che ne sono conseguiti, a farmi ricominciare a disegnare in segreto. Un modo per trovare sollievo. Disegnavo mia sorella nei panni di una supereroina il cui super potere erano le fiamme.

Anche lo scenario storico e culturale della Nigeria ha avuto uninfluenza determinante nel suo lavoro, tant’è che le vicende complesse e spesso violente del suo Paese sono intimamente connesse ai temi della sua pittura, in un continuo intreccio di storia collettiva e storia personale.
La ricca e articolata storia della Nigeria ha influenzato la mia pratica e ha svolto un ruolo significativo nel plasmarla. Le nostre esperienze individuali sono inscindibili dai più ampi contesti storici e culturali nei quali viviamo. Come artista, svolgo un ruolo di custode nei confronti della storia: documento il presente, ma faccio inevitabilmente riferimento al passato. E come membro di una comunità, oltre ad essere portatore della mia esperienza personale, contribuisco alla narrazione condivisa dell’esperienza della comunità. In ogni racconto, anche in quelli folcloristici della mia terra, c’è sempre l’identità di un popolo che si intreccia con un’identità individuale.

Lei appartiene all’etnia degli Igbo, quella che in epoca coloniale fu più predisposta ad assorbile la cultura occidentale e che sotto la guida di una borghesia intraprendente raggiunse un tenore di vita superiore rispetto ad altri gruppi etnici nigeriani. Ma dal 1960, anno in cui la Nigeria ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna, gli Igbo patirono una crescente emarginazione che li portò, nel 1967, alla dichiarazione di uno stato indipendente chiamato Biafra. Ne conseguì una brutale guerra civile a cui una delle opere in mostra, «While It All Burns Down» (2022), fa riferimento ma in cui c’è anche dell’altro…
Tutto quello che so su questa guerra l’ho imparato ascoltando i parenti più anziani e leggendo i libri di storia. L’opera che lei cita, e che rimanda a una scena del film «Half of a Yellow Sun» (adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo sulla guerra civile nigeriana, Ndr), racconta una storia di amore, di famiglia, di resilienza e identità sullo sfondo della guerra combattuta tra il governo nigeriano e lo stato separatista del Biafra, tra il 1967 e il 1970. Ma nel dipinto, in netto contrasto con il caos che si vede fuori dalla finestra, la giovane coppia è colta in un momento di intimità, come avvolta da un alone luminoso. Ancora una volta, storia personale e storia collettiva si intrecciano senza soluzione di continuità e la pittura trasforma il presente in un portale per il passato.

Partiamo da quel contorno di luce che avvolge molti dei protagonisti dei suoi quadri. Dove affonda le sue radici questa sorta di misticismo?
Forse dipende dal fatto che le prime opere con le quali sono venuto a contatto, da piccolo, erano dipinti religiosi della tradizione cattolica, che ritraevano Gesù o Maria con un’aureola o una luce splendente nelle loro mani. L’incidente del quale è stata vittima mia sorella mi ha fatto ripensare al fuoco in termini di divinizzazione. Come a una luce che serve non solo a conferire grazia ai miei personaggi, ma anche a creare uno spazio che onori la loro presenza, il loro posto dentro e attraverso la cultura e il tempo. Simboleggia però anche la forza e la resilienza necessarie a superare le difficoltà della vita, la bellezza interiore che deriva dall’abbracciare il proprio destino, con piena fiducia nel futuro.

In riferimento alla sua pittura, lei usa le espressioni «poesia visiva» o «realismo figurativo narrativo» per definirla. Può spiegare cosa intende?
Il dipinto serve per narrare una storia o creare uno spazio di conversazione. L’utilizzo che faccio di elementi diversi, i simboli o la metafora, per costruire una narrazione che si dispiega sulla tela in forma di immagine realistica, coerente e rilevante, è ciò che io definisco «poesia visiva». Un buon dipinto deve saper creare un’atmosfera, evocare uno stato d’animo che risuoni con lo spettatore o addirittura condurlo in un altrove, senza necessariamente che la storia abbia un significato predefinito. É il fruitore dell’opera ad avere un ruolo centrale nell’interpretazione e nella comprensione della narrazione.

Lei parla spesso dei suoi quadri come di un luogo di rifugio e protezione contro le avversità dell’esistenza. A mitigare la dimensione di vulnerabilità associata alla vita interviene la natura, materna e accogliente, che abbraccia i soggetti.
Il rapporto tra pittura, vulnerabilità e natura è complesso e multi-sfaccettato. A volte il paesaggio naturale favorisce un senso di radicamento e connessione: penso alle pianure verdi o ai fiori che sbocciano. Altre volte serve a rappresentare l’inquietudine umana, ecco allora il mare blu tempestoso e i cieli dai toni drammatici. Esplorando la vulnerabilità e utilizzando la natura come fonte di conforto e sostegno, creo uno spazio sicuro in cui gli spettatori possano sentirsi compresi e abbracciati. Spero che la mia arte offra un senso di consolazione e protezione a chiunque lo desideri.

Prendo spunto dal fatto che a novembre dello scorso anno il suo lavoro è stato incluso nella campagna «Invest in Black Artist» del rapper, attore e produttore discografico statunitense Snoop Dogg, per chiederle se pensa che ci sia un potenziale ancora inespresso degli artisti di colore che, soprattutto in Europa, meriterebbe di essere esplorato e incentivato.
La campagna è stata un’importante piattaforma che ha accresciuto la consapevolezza sulla necessità di sostenere e promuovere gli artisti neri. Credo che essa abbia contribuito ad accendere i riflettori sul loro immenso potenziale, ancora in gran parte inespresso. Ma credo anche che definizioni generiche come «arte nera» o «artisti neri» non facciano altro che alimentare lo stereotipo di come dovrebbe apparire questo tipo di arte, riducendola a un’idea monolitica. In realtà sono molti gli artisti di colore, i loro mezzi di espressione e i racconti che andrebbero inclusi nel discorso per una corretta documentazione delle «storie nere» e per evitare il pericolo di una trattazione solamente parziale della questione.

«Besides the Still Waters» (2022), di Ikeorah Chisom Chi-Fada

Francesca Interlenghi, 03 maggio 2023 | © Riproduzione riservata

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