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Mummificatio praecox

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Franco Fanelli

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Se le biennali resuscitano i morti, le fiere d’arte contemporanea hanno una irresistibile propensione a mummificare i vivi. I curatori delle biennali e documenta varie, ormai da una decina di anni, trovano chic esumare, insieme a qualche illustre nonagenario, celebri anime del passato. Bice Curiger a Venezia arrivò sino a Tintoretto, ma in genere i resuscitati appartengono al XIX o al XX secolo. I direttori artistici delle fiere, invece, ormai per contratto devono prevedere una sezione paramuseale dedicata al passato prossimo di artisti viventi. Iniziò Artissima con Back to the Future, subito imitata da Frieze e da altre concorrenti. La strategia commerciale che presiede a queste precoci e temporanee museificazioni è nota: esibendo in contesti ispirati all’estrema attualità ciò che l’ha preceduta (spesso anche nelle forme e nei temi) il mercato recupera figure che l’arruolamento compulsivo di sempre nuovi presunti talenti ha relegato in seconda fila.

Si tratta di figure dotate di degno curriculum ma precocemente snobbate dal collezionismo. Siccome solo una minima percentuale di artisti riesce a mantenersi ai massimi livelli espositivi e commerciali sino ai 70-80 anni, ne consegue che tutti gli altri, le presunte seconde linee, alimentano un serbatoio che andrà ad arricchirsi all’infinito. Gli interessati sono quasi sempre lieti di questo ripescaggio, che vivono probabilmente come una sia pur tardiva rivincita espositiva ed economica dopo anni di esilio totale o parziale. È la non-zona del vintage, dei middle career e dei sessanta-settantenni, la maggior parte dei quali sono ritenuti «riscopribili» in virtù di opere risalenti alla prima maturità.

Tutti oggi diamo per scontato che l’ultimo Picasso non valga quello degli anni Dieci, ma chi ci assicura che nel 2116 gli storici dell’arte non giungeranno alla conclusione che «Les Demoiselles d’Avignon» siano un dipinto terribilmente immaturo e che i d’après degli anni Settanta dei capolavori? Ma si sa, la storiografia dell’arte, soprattutto quella contemporanea (la più ancillare rispetto al mercato) ha fretta di etichettare e «prezzare».

Qualcuno, però, non accetta la mummificatio praecox. È il caso di Urs Lüthi che, nonostante il collezionismo abbia premiato soprattutto i suoi autoritratti androgini degli anni Settanta, rivendica oggi il suo status di artista vivente, produttivo e creativo: lo dimostra, in occasione di Artissima, rifiutando una collocazione nella sezione Back to the Future; la galleria che lo presenta, la Otto di Bologna, espone infatti nella Main Section. Lo svizzero Lüthi è ancora un artista anche perché è capace di questo piccolo ma significativo atto di ribellione, pretendendo che sia il tempo (lui che con gli anni, i suoi, e con i segni dell’età ha lavorato con grande disinvoltura) e non il mercato a stabilire l’anagrafe creativa di un artista. E gli svizzeri, almeno si dice, hanno un concetto piuttosto preciso del tempo.

Franco Fanelli, 15 novembre 2016 | © Riproduzione riservata

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Mummificatio praecox | Franco Fanelli

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