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Mitra in Badia

Federico Castelli Gattinara

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Ha riaperto il 29 giugno il Museo del Castello della Badia, chiuso lo scorso novembre per un completo ripensamento delle collezioni al primo piano. Al piano terra, in coincidenza di un convegno internazionale sul tema, è stata allestita una mostra sul gruppo di Mitra del III secolo d.C. rinvenuto in uno scavo del 1975 in un’abitazione del foro della città romana, chiuso nei depositi e mostrato finora in due sole occasioni. Il gruppo, che presenta Mitra col toro, il cane, lo scorpione e, a parte, il corvo e Cautes (uno dei due assistenti che accompagnano la divinità), è esposto insieme a due splendidi vasi rituali con serpenti, e finirà in futuro nel bel progetto, già esistente ma ancora tutto da finanziare, di un Museo della scultura in terra etrusca nel complesso monumentale di Masse di San Sisto, nella vicina Montalto di Castro.

Il Museo della Badia invece è stato riaperto con nuove vetrine, i reperti più significativi del vecchio allestimento insieme al meglio di quanto scavato negli ultimi vent’anni, come il corredo delle Mani d’argento rinvenuto nel 2013 e mostrato due anni fa a Villa Giulia (cfr. n. 343, giu. ’14, p. 32) e quello femminile scoperto pochi mesi fa a Poggio Mengarelli, una tomba a fossa di fine VIII secolo a.C. con una rara torque, un girocollo in oro e ambra, e uno scarabeo egizio incastonato in argento e foglia d’oro.

Intanto da metà aprile, grazie ai Fondi Strutturali Europei Por-Fesr Lazio 2007-13, un percorso attrezzato e illuminato consente la visita alla necropoli dell’Osteria: se la già nota Tomba dei Soffitti Intagliati è visitabile solo su prenotazione, altre due tombe recenti finora mai aperte, la Tomba della Sfinge (protetta da una tettoia) e la Tomba delle Mani d’argento (rinterrata, ma è allestito il contesto con gli altari ecc.), rimangono sempre visibili.

Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma con «Tesori per l’Aldilà» espone fino al 31 dicembre gioielli del tutto inediti e altri reperti della cosiddetta Tomba degli Ori della necropoli della Polledrara, la più meridionale di Vulci. Il corredo, riscoperto nel 2010 nei depositi del museo durante il suo riallestimento, era giunto grazie a un sequestro dei Carabinieri del 1962 a Ischia di Castro, seguito da indagini che in pochi mesi ne avevano identificato il sito di provenienza. Si tratta del corredo di una dama dell’alta aristocrazia, prezioso perché come quello di Poggio Mengarelli documenta l’età proto-orientalizzante di Vulci, gli inizi di quella rete di rapporti con la Grecia e il Vicino Oriente destinata a fiorire subito dopo, nel VII secolo. È composto da una magnifica fibula da parata in lega d’oro, tre rari pendenti a disco in argento dorato con simboli astrali, tre scarabei incastonati in pendenti-sigillo di tipo siro-fenicio, un bracciale tubolare in argento decorato in filigrana d’argento dorato e una serie di altri monili di notevole fattura, oltre a vasi e altri bronzi recuperati nel sito originario. Il restauro dell’Iscr, sostenuto della Fondazione Paola Droghetti e illustrato da una pubblicazione Gangemi, è stato diretto da Barbara Davidde Petriaggi. 

Federico Castelli Gattinara, 16 agosto 2016 | © Riproduzione riservata

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Mitra in Badia | Federico Castelli Gattinara

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