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Miriam Elia: We go to the gallery

Micaela Deiana

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«Un libro sul sesso, la morte, l’arte contemporanea: i tre drammi della vita», così, ironicamente, Miriam Elia (Londra, 1982) definisce il suo We go to the gallery (Andiamo in galleria)

In realtà non ci troviamo davanti a un libro inteso come prodotto editoriale, ma piuttosto a un’opera d’arte visiva che ha preso la forma di un libro: come l’autrice stessa sottolinea, «il primo passo è stato illustrare le scene, le parole sono venute successivamente». L’autrice è infatti un’artista laureatasi al Royal College of Art di Londra. La sua ricerca spazia dalla grafica al disegno, dalla commedia radiofonica all’animazione.

Nel 2012 ha intrapreso una riflessione di impianto critico-istituzionale, in cui affronta causticamente le dinamiche del sistema dell’arte, rifacendosi nell’estetica ai Ladybird Books, un classico della letteratura per l’infanzia nel Regno Unito degli anni Sessanta, in cui ogni scena illustrata veniva didatticamente abbinata a una lista di parole da imparare. 

We go to the galleryDalle singole tavole grafiche, oltre duecento sketch, al libro vero e proprio, il passo è stato naturale. Nel 2014, grazie a una campagna di crowdfunding, lo stupore di Susan e John in visita in un museo insieme alla propria madre, ha acquistato una forma cartacea in collaborazione con il fratello di Miriam, Ezra, coautore del testo. Il libretto ha riscosso un grande successo di pubblico, ben oltre gli stretti confini del mondo dell’arte.

Miriam Elia si è dovuta però scontrare con i legali del gruppo editoriale Penguin, editore dei Ladybird Books, che evidentemente non è andato troppo per il sottile nel distinguere le questioni di copyright in campo editoriale da quelle del citazionismo e della satira in campo artistico. L’artista ha quindi rivisto il progetto, epurandolo dei riferimenti puntuali e reinterpretandolo «in chiave più contemporanea». Si è concentrata sui personaggi e ha organizzato un casting nel Nord dell’Inghilterra per trovare i modelli ideali per caratterizzare i ritratti dei due piccoli protagonisti, «perché i bambini londinesi non avevano l’aspetto adatto, visto l’animo cosmopolita della città; cercavo la britishness».

Ma, soprattutto, per supportare la produzione del librino, ha creato una casa editrice che, in realtà, sembra più essere un progetto artistico: la Dung Beetle Ltd, il cui simbolo è uno scarabeo stercorario accompagnato dalla citazione «Est doctrina de stercore» («dallo sterco, la conoscenza»). «Potrebbe diventare un vero editore, la nostra piccola multinazionale, immagina ridendo l’artista, per dare spazio a nuove riflessioni critiche e nuovi libri parodistici. Penso a quanti artisti, purtroppo, siano costretti oggi a interrompere le loro ricerche perché non trovano il giusto sostegno. Il progetto Dung Beetle può essere un esempio di autoproduzione fuori dal mercato».

Micaela Deiana, 08 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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