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Minimalismo partecipativo

Installazioni di Francesca Leone al Macro

Nella seconda metà degli anni Sessanta, il minimalista Carl Andre, rispetto ai suoi pavimenti di lastre accessibili agli spettatori, sosteneva che la sua opera fosse «atea, materialista è comunista. È atea perché è priva di una forma trascendente, non ha caratteristiche spirituali o intellettuali».

Anche Francesca Leone (1964) realizza installazioni che affondano le radici in quel pensiero, benché la sua attenzione sia focalizzata su temi dell’ambiente e dell’ecosistema. Alla fine del 2015, in una esposizione alla Triennale di Milano ha installato a terra diciotto grate in alluminio su cui avevano camminato centinaia di persone, lasciando memoria del proprio passaggio con mozziconi di sigarette, carte e altri rifiuti, come anche chiavi e monete.

Dal 3 febbraio al 26 marzo Francesca Leone propone lo stesso lavoro nella Project Room # 2 del Macro, nella mostra «Giardino» a cura di Danilo Eccher. A parete sono collocate altre tre installazioni, formate da alcune grate incastrate in una pavimentazione stradale, delle gigantesche steli moderne di tre metri e mezzo per due, in cui, spiega Eccher, «la ruvidità di un linguaggio essenziale, crudo, violento, esprime una poesia della quotidianità». L’allestimento sembra ricreare idealmente un paesaggio metropolitano in cui la Leone definisce un campo visivo e il visitatore mette il suo sguardo e il suo pensiero.

La mostra è accompagnata da un libro-opera con testo di Danilo Eccher, edito in 150 copie firmate e numerate, formato da una piccola grata che diventa uno scrigno. Figlia del celebre regista Sergio, l’artista vive e lavora a Roma, ha esordito nel 2007 con una mostra ai Musei Capitolini e da quel momento ha tenuto personali in Italia e all’estero. Ha anche partecipato alla Biennale di Venezia, nel 2011 e nel 2013.

Redazione GDA, 10 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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Minimalismo partecipativo | Redazione GDA

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