Milton Avery colorista americano

In mostra alla Royal Academy la carriera lineare di un artista che ha spinto la figurazione ai suoi limiti senza mai seguire la strada degli «abstract boys»

«Boathouse by the Sea» (1959) di Milton Avery, Londra, Royal Academy
Ben Luke |  | Londra

L’artista americano Milton Avery (1885-1965) viene spesso presentato come un pittore dal divertimento semplice. Nel catalogo della sua mostra alla Royal Academy of Arts di Londra (15 luglio - 16 ottobre 2022), la curatrice Edith Devaney conclude che la sua arte «rimane sobria nella sua semplice bellezza». Semplicità? Sì, di un certo tipo. Ma bellezza? Non la vedo. Ad aumentare l’enigma è il laconismo quasi comico di Avery. Su Henri Matisse, spesso citato come modello, ha detto solo due cose: «Mi piace il modo in cui applica il colore» e «Non credo che abbia influenzato il mio lavoro».

Un’altra delle sue rare affermazioni contiene la chiave per leggerlo. Avery disse che cercava di «cogliere un nitido istante nella natura, imprigionarlo per mezzo di forme ordinate e relazioni spaziali e trasmettere l’estasi del momento». Voleva «eliminare e semplificare, non lasciando altro che colori e motivi». Queste parole riflettono una strana intensità che fa di Avery un pittore affascinante e, nel senso migliore del termine, profondamente bizzarro.

La sua carriera disegna un arco lineare netto, perfetto per essere condensato nello spazio limitato delle Gabrielle Jungels-Winkler Galleries della Royal Academy. In tre sale sono esposti i suoi modesti esordi negli anni Dieci ad Hartford, Connecticut; i paesaggi idiosincratici del suo stile maturo degli anni Trenta; i soggetti cittadini e i ritratti dopo il suo trasferimento a New York nel 1926; e le composizioni riduzioniste degli anni Cinquanta e Sessanta, influenzate dagli espressionisti astratti.
«Autunno nel Vermont» (1935) di Milton Avery
Se Avery fosse un pittore che ricerca la bellezza più pura, «Autunno nel Vermont» (1935) sarebbe sicuramente più piacevole (si pensi alle vibranti pennellate della Scuola del fiume Hudson). Invece, le sue sfumature autunnali sono opache: il fogliame arrugginito piuttosto che radioso, il cielo crepuscolare ma cupo, un’incombente nebbia grigia su rosa e bianco impastati. Proprio per questo il dipinto acquista valore, insieme alla varietà di segni che l’artista aveva ormai imparato a utilizzare: superfici ampie e fluide, dettagli scarni, alcuni graffi effettuati con il manico del pennello.

Seaside (1931) è un contributo eccentrico, addirittura esilarante, alla tradizione artistica delle bagnanti. Su due fasce di colore (blu per il mare, rosa-marrone per la spiaggia) si stagliano diverse figure, poco più che rozzi accatastamenti di forme. Una donna seduta è formata da tre losanghe traballanti, mentre il volto della figura principale è descritto con un unico segno per le sopracciglia e il naso, e con vaghi cerchi per gli occhi.

I colori sono ciò che distingue maggiormente Avery da Matisse. C’è poco dell’unità armonica faticosamente conquistata dal maestro francese, e piuttosto i toni modulati e le tinte accese di un altro maestro, Georges Braque. Ciò non significa che Avery non sia un colorista brillante e originale. In «L’uomo con la pipa» (1934), la figura principale è in primo piano a sinistra, con una nuvola di capelli gialli sotto il berretto blu, labbra rosse che spuntano da un viso intensamente lavorato e un paio di orecchie sovradimensionate e dai colori decisi, segno distintivo di Avery. Dietro di lui ci sono altri due bagnanti che chiacchierano sulla spiaggia: uno con la carne color pesca e un costume rosa, l’altro in blu con la pelle color grigio.
«Marito e moglie» (1945) di Milton Avery
Le tinte binarie erano uno strumento cruciale per Avery. In «Marito e moglie» (1945) la figura maschile è una sorta di visione in marrone, con il viso vermiglio e i capelli gialli. Solo un papillon blu ne sottolinea il calore. La moglie è tutta in blu, con viso e arti verdi. I bagnanti dai colori innaturali ricompaiono in «Nuotatori e bagnanti» (1945), in un paesaggio straordinario in cui il nuotatore è un lampo di rosso nell’acqua nera, e come protagonisti in «Due figure sulla spiaggia» (1950) e «Amici» (1961).

Questi ultimi due quadri riflettono l’inesorabile cammino di Avery verso l’astrazione. Il disegno si presenta con audacia, ma quasi tutto il resto è abbandonato al colore. Anche le dimensioni si espandono: una risposta deliberata ai «The abstract boys», tra cui gli amici Mark Rothko e Alfred Gottlieb. I paesi marittimi hanno ispirato molte delle tele luminose che concludono la mostra, poco più che campi di colore dipinti in modo sottile. Ma un quadro con bande orizzontali di rosso, blu e giallo e un altro con gli stessi colori e una striscia diagonale di nero non sono intitolati alla maniera di «Untitled (Yellow, Red and Blue)», un dipinto simile del 1953 di Rothko, bensì «Blue Sea, Red Sky» (1958) e «Boathouse by the Sea» (1959). Avery non ha mai varcato completamente la soglia della non-figurazione.
Una veduta della stanza finale della mostra «Milton Avery. American Colourist» (2022), Londra, Royal Academy of Arts
La stanza finale è la più vicina all’armonia pura. Forse le sue opere più importanti dell’ultimo periodo sono due lavori del 1960: «Due figure» e «Vele nel mare al tramonto». Esattamente della stessa dimensione, quasi 2 metri di altezza, presentano forme semplici, bagnanti e barche, contro l’oceano, le cui onde sono suggerite da velocissimi zig-zag e increspature. Assorbono la scala e l’effetto sublime del lavoro dei pittori più giovani, pur rimanendo autenticamente di Avery.

Sembra un peccato non mostrare queste perle insieme come un climax meraviglioso, ma l’allestimento è stato studiato ad hoc per lo spazio. I colori delle pareti (blu pallido per i paesaggi, ocra per i ritratti e gli interni, bianco per le opere più tarde) sembrano corretti, ma la luce naturale che può riempire questi spazi viene negata ai dipinti, presumibilmente per proteggere le sporadiche opere su carta.

La mostra testimonia la persistenza e l’importanza nel tempo del lavoro di Avery. Certo, ci sono tutte le connessioni con gli antenati e i contemporanei. Ma più volte ho visto nella semplicità e nella stranezza dei suoi dipinti, rimandi ad artisti contemporanei alle prese con la figura, come Peter Doig, Chris Ofili e Chantal Joffe. La risonanza più importante di Avery, sicuramente, non è con il passato, ma con il presente.

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