L’antropologo Arjun Appadurai, ormai diversi anni fa, rimarcava la necessità di fondare un’antropologia capace di andare oltre l’identificazione con il territorio come spazio delimitato e stabile. Lo scopo era quello di focalizzare l’attenzione sullo studio di ramificazioni e connessioni capaci di individuare nuovi scenari e, in definitiva, una nuova teoria dei flussi culturali globali.
È probabilmente da qui che parte la riflessione alla base delle mostra «Fluid Journey», curata da Silvia Litardi e ospitata dalla Fondazione Pastificio Cerere fino al 13 maggio. Sei artisti si confrontano sull’identità e sui cambiamenti legati alle migrazioni e al rapporto tra culture differenti. Alterazioni Video (collettivo fondato a Milano nel 2004), Younes Baba-Ali (Marocco, 1986), Julian D’Angiolillo (Argentina, 1986), Maj Hasager (Danimarca, 1977) e Ibrahim Mahama (Ghana, 1987) presentano un video ciascuno, accompagnato, nella quasi totalità dei casi, da elementi di supporto realizzati con altri media.
Ci accolgono nel cortile striscioni e stampe digitali, all’interno una parete di sacchi di juta di Ibrahim Mahama, video, foto e collage. L’ultima sala è dedicata a una doppia proiezione: alcune poltroncine in legno di un vecchio cinema permettono di immergersi in un’atmosfera disorientante, in un viaggio fluido tra gli «ethnoscapes» teorizzati da Appadurai.
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