Quella in corso sino al 4 settembre al Mao-Museo di arte orientale di Torino non è solo una mostra quanto un’esperienza immersiva, che si prefigge di trasmettere un segno di speranza per il futuro. «Il grande Vuoto. Dal suono all’immagine» inizia con un’indagine sul concetto di vuoto, per il buddismo legato al raggiungimento della consapevolezza dell’essenza della vita, e si conclude con la contemplazione di ritratti fotografici ritenuti sacri.
Funzionale alla conquista di una «pace assoluta», è la prima area in cui si imbatte il visitatore, spazio apparentemente spoglio che si arricchisce man mano delle note del famoso compositore Vittorio Montalti. La melodia è un alternarsi di tempi, vuoti e pieni, ritmi e echi prodotti con l’ambiente circostante. Da questa coinvolgente installazione sonora si prosegue verso la Sala Colonne dove svetta una rarissima thangka tibetana che invita nuovamente a lasciarsi trasportare nella meditazione del rappresentato. Lo stendardo del XV secolo, raffigura Maitreya, il Buddha del Futuro, colui che riceve un’illuminazione completa, seduto sul trono dei leoni e con i pollici e gli indici delle mani che formano dei cerchi, gesto della messa in moto della «Ruota della Legge». La ritualità innescata, cadenzata da un primo momento musicale per «ripulire» i sensi e successivamente da un’esperienza di raccoglimento attorno all’immagine, pone il pubblico in un atteggiamento attivo e partecipe, come solo l’arte contemporanea ci ha abituato.
Nelle ultime due sale un allestimento più tradizionale propone centinaia di fotografie di «tulku», nella religione buddista i saggi che condurranno l’uomo verso la salvezza, verso quel «Grande Vuoto» citato nel titolo del percorso. Questi scatti provengono dall’immensa collezione dell’artista Paola Pivi. Il 13 e il 15 maggio Vittorio Montaltie Gloria Campaner suonano dal vivo i movimenti che compongono l’opera «Il Grande Vuoto».
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