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Made in Italy tra genio e catastrofe

Carla Cerutti

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Reduce dal successo parigino, arriva al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dal Musée d’Orsay, la prima mostra dedicata da un grande museo internazionale alle arti decorative italiane del primo ’900, ideata e curata da Guy Cogeval, presidente del Musée d’Orsay et de l’Orangerie, con Beatrice Avanzi, conservatrice del medesimo, e le storiche Maria Paola Maino e Irene de Guttry (cfr. Gda, n. 352, apr. ’15, p. 44). «Una dolce vita? Dal Liberty al design italiano. 1900-1940» si potrebbe considerare come una sorta di prequel di «Modo Italiano», un’altra importante esposizione realizzata da Cogeval, con Giampiero Bosoni, a Montréal nel 2006 e successivamente al Mart di Rovereto nel 2007, dedicata alla storia del design. I quarant’anni presi in esame sono cruciali per la formazione di quel «carattere italiano» che ancora oggi contraddistingue il nostro design, la nostra arte e la nostra moda, come sottolinea Cogeval nell’introduzione al catalogo italiano della mostra, edito da Skira, quel «good design» le cui basi furono gettate nel ventennio fascista da giovani talenti quali Ponti, Albini, Ulrich e Mollino. «Il cammino che essi hanno percorso è ricco, complesso, pieno di entusiasmo, sullo sfondo di un periodo storico dei più bui e tormentati.

Per questo era necessario interrogarsi sul valore di questa esperienza: può esistere un periodo di creatività straordinaria mentre la nazione corre verso la catastrofe?». Da qui nasce l’interrogativo del titolo «Una dolce vita?»: dalle eccentriche rivisitazioni orientaliste di Carlo Bugatti alle dinamiche follie creative dei futuristi, dal moderno classicismo di Ponti al rigore razionalista di Terragni, fino alla bizzarra fantasia di Mollino, senza dimenticare gli eccellenti ferri battuti di Mazzucotelli e di Bellotto, le squisite interpretazioni Liberty in ceramica di Chini e di Baccarini, i preziosi tessuti vitrei a murrine degli artisti Barovier e di Vittorio Zecchin, la straordinaria produzione di Venini affidata a Martinuzzi, a Buzzi e a Scarpa, tutto parla di un’irrefrenabile capacità inventiva, gioiosa, raffinata ed eterogenea, incredibile se la si colloca in un periodo che ha visto un primo disastroso conflitto mondiale seguito da una lunga dittatura politica che sfocerà in una seconda catastrofe. Il percorso della mostra è cronologico e, attraverso circa 180 opere tra oggetti e dipinti che li contestualizzano, si snoda all’interno di cinque sezioni: «La stagione del Liberty», «Ricostruzione futurista dell’Universo», «Metafisica», «Novecento e Realismo magico», «Astrazione e Razionalismo». Rispetto all’edizione parigina, un buon 25% delle opere è stato sostituito, sia per rinnovare l’edizione romana, organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con il Musée d’Orsay, sia per la difficoltà di mantenere prestiti per un così lungo periodo. La mostra, infatti, è stata aperta a Parigi e resterà a Roma dal 16 ottobre al 17 gennaio. «In Italia purtroppo non esiste un grande museo unico di arti decorative, come il V&A di Londra, per fare un esempio, o il Mad di Parigi, ma varie raccolte museali disseminate sul territorio, sottolineano le curatrici Irene de Guttry e Maria Paola Maino. Quindi la maggior parte dei prestiti viene da collezionisti privati che, giustamente, non amano separarsi troppo a lungo dalle loro opere, soprattutto se si tratta di arredi che usano abitualmente.

I musei, inoltre, fatta eccezione per alcuni come la Wolfsoniana di Genova, il Mic di Faenza, ovviamente il Musée d’Orsay e il coraggioso Museo Richard-Ginori di Sesto Fiorentino, che tenta di sopravvivere con i prestiti a un’indegna situazione di chiusura, hanno una programmazione di anni, soprattutto quelli stranieri, quindi è estremamente difficile e faticoso ottenere prestiti all’ultimo momento, come spesso capita a noi curatori italiani. Il trasferimento a Roma, infatti, è stato concordato poco prima che la mostra aprisse a Parigi, dove, tra l’altro, ha riscosso un gratificante successo: nel periodo iniziale di apertura ci sono stati 2.600 visitatori al giorno. Siamo profondamente riconoscenti al Musée d’Orsay e al Palaexpo per averci dato quest’opportunità, è stato un grande passo avanti per il riconoscimento internazionale che le nostre arti decorative del XX secolo meritano da tempo. Ci auguriamo che questo processo di rivalutazione prosegua il suo cammino».

Carla Cerutti, 22 settembre 2015 | © Riproduzione riservata

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