Ma allora esiste o no lo «sguardo femminile»?

Nei Musei di San Domenico 300 grandi fotografie raccontano il mondo visto dalle donne

«Iko Iko» dalla serie «The afronauts» (2012) di Cristina de Middel. © Cristina de Middel
Nicolò Pollarini |  | Forlì

L’autunno fotografico dei Musei San Domenico torna con una mostra tutta al femminile, «Essere umane. Le grandi fotografe raccontano il mondo» (fino al 30 gennaio). Le oltre 300 immagini selezionate dal curatore Walter Guadagnini ci conducono lungo coordinate quanto mai ampie, sia in senso temporale che geografico.

Dagli albori del reportage con figure come Gerda Taro, per una volta non in veste di signora Capa, Margaret Bourke-White e Dorothea Lange ad autrici anagraficamente ancora mid-career o persino più giovani, come la ventisettenne Nanna Heitmann.

Dal locale in senso più stretto, con la forlivese Silvia Camporesi, al globale, con autrici extraoccidentali come la cinese Cao Fei (appena insignita del Deutsche Börse Photography Foundation Prize 2021) o l’indiana Dayanita Singh. Una prospettiva di genere che conferma il successo nelle operazioni di rivisitazione del rapporto fra donne e creatività, concentrandosi qui sulla fotografia. Un settore che storicamente, grazie al fatto di essere multiforme, ha risentito meno di altri pregiudizi ed esclusioni e conseguentemente ha tramandato una mole di esperienze di qualità da cui poter pescare.

La scelta degli organizzatori forlivesi (la mostra nasce all’interno del «Festival del Buon Vivere», sostenuta dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, ed è accompagnata da un catalogo Silvana, con saggi, oltre che del curatore, anche di Raffaella Perna e Monica Poggi) è stata quella di ampliare il raggio di attenzione, di tentare una sintesi, pur parziale, delle esperienze di un secolo di fotografia, in particolare di quella legata al reportage e alla documentazione.

Da qui anche il sottotitolo e una lista di autrici che hanno in comune soprattutto la volontà di restituire allo spettatore la realtà in maniera diretta, senza il tramite concettuale che caratterizza invece le esperienze più specificamente artistiche.

Ecco allora, insieme alle autrici già segnalate sopra, Lee Miller e Lisette Model, Eve Arnold e Inge Morath, Susan Meiselas e Graciela Iturbide, le italiane Paola Mattioli, Carla Cerati, Letizia Battaglia, Dayanita Singh e Jitka Hanzlova fino alle più giovani Newsha Tavakolian, Shadi Ghadirian e Zanele Muholi.

Il percorso di visita si articola cronologicamente in tre sezioni, la prima copre l’arco dagli anni Trenta fino ai Sessanta, la seconda giunge alla fine del secolo, la terza presenta i risultati del nuovo millennio, con la caratteristica globalizzazione dell’economia e dello sguardo: assistiamo così a un caleidoscopio dove al mondo del travestitismo indagato da Lisetta Carmi si affiancano le fotografie in studio di Annie Leibovitz per il calendario Pirelli, la perturbanza dei soggetti raffigurati da Diane Arbus e l’afrofuturismo di Cristina de Middel, con la spettacolare installazione della quale la mostra si chiude. L’ecletticità trova la propria ragion d’essere in un ambizioso fine ultimo, il dare sostanza a un’entità impalpabile come lo «sguardo femminile».

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