Le variazioni Nigro a Palazzo Reale
A trent’anni dall’attentato di via Palestro, che danneggiò anche una sua opera, una grande mostra del protagonista dell’Arte astratta, con 146 lavori dal 1947 al 1992. La parola alle curatrici

Sono trascorsi trent’anni da quel 27 luglio 1993 quando, nella centralissima via Palestro, un attentato mafioso uccise cinque persone. Ci furono anche dieci feriti, una vera strage, ma l’autobomba «ferì» gravemente anche il Pac-Padiglione d’Arte Contemporanea, dove si stava allestendo un’antologica di Mario Nigro (Pistoia, 1917-Livorno, 1992), a un anno dalla sua scomparsa. Oggi Milano (la città dove l’artista diventò un protagonista dell’arte internazionale), insieme all’Archivio Mario Nigro, presenta dal 14 luglio la più ampia rassegna mai dedicata a questo esponente di spicco dell’astrazione, da lui teorizzata in saggi come Spazio totale (1954) e Tempo totale (1966). Curata da Antonella Soldaini ed Elena Tettamanti, con 146 opere dal 1947 al 1992, la rassegna è divisa tra Palazzo Reale (fino al 17 settembre) e il Museo del Novecento (fino al 5 novembre), mentre il Pac presenta una conferenza ed espone, a memento, un’opera danneggiata dall’esplosione. Ne parliamo con le curatrici.
La mostra forse ha una duplice valenza: non solo celebra un artista di grande valore, ma ha anche un significato civile e politico?
Elena Tettamanti: Sì, quello fu un attentato rivolto simbolicamente contro un’intera città. In questa ricorrenza ci è sembrato che una mostra su Mario Nigro, in due istituzioni milanesi come Palazzo Reale e il Museo del Novecento, oltre a una conferenza al Pac su quel tragico evento, fosse la risposta migliore per riaffermare il primato dell’arte e della cultura contro il crimine.
Come avete strutturato il percorso del visitatore?
Antonella Soldaini: Per il numero di opere presentate, 146 tra dipinti, lavori tridimensionali e su carta, oltre a una vasta selezione di documenti, la mostra è stata concepita con un’impostazione prevalentemente cronologica. Al piano nobile di Palazzo Reale sono esposte opere su tela e su tavola, dando risalto a quelle presentate nelle Biennali di Venezia del 1964, 1968, 1978, 1982, 1986 e nella X Quadriennale di Roma del 1973, mentre nel Museo del Novecento si approfondisce la conoscenza dei lavori su carta e dei documenti d’archivio.
Mario Nigro (laureato in Chimica e in Farmacia) era dotato di una solida formazione scientifica e di un’ottima cultura musicale, suonava pianoforte e violino. In mostra avete evidenziato queste sue competenze?
E.T.: Certamente. In entrambe le sedi, per esempio, ampio respiro è stato dato al ciclo «Spazio totale»: opere fondate sugli studi scientifici di Nigro, cui si assomma la sua conoscenza approfondita delle strutture compositive musicali. Sono questi i pilastri teorici che sin dai primi anni Cinquanta permettono all’artista di superare il rischio di una riduzione decorativa della sua opera pittorica, ormai votata al raggiungimento del massimo grado di astrazione e non-oggettività. In mostra ci sono alcuni dei suoi primi lavori, come «Spazio totale: variazione II» (1952) e «Dallo spazio totale» (1954), del Museo del Novecento. Aggiungerei però anche un altro elemento, che determinerà importanti sviluppi, e cioè il coinvolgimento con la realtà politica del suo tempo: l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica, per esempio, nel 1956 lo porterà alla realizzazione della bellissima e drammatica serie delle «Tensioni reticolari».
E riguardo alla sua ricerca sulla tridimensionalità?
A.S.: A partire dalla metà degli anni Sessanta, Nigro coniuga la libertà cromatica dei lavori con la ricerca di una maggiore strutturazione geometrica, instaurando così un dialogo vitale con l’architettura. Forme elementari e colori primari, linee e intrecci di sagome sono articolati in cerca di uno spazio e di un tempo totali, anticipando le riflessioni sul segno e sul colore delle tendenze radicali e Minimal dei decenni successivi. In mostra saranno presenti opere (alcune esposte nella sala personale alla XXXIV Biennale di Venezia del 1968) dal 1965 al 1967, il cui aspetto tridimensionale testimonia l’interesse dell’artista nello sperimentare una dimensione oltre i confini del quadro.