Le trame esotiche di McCurry nel Filatoio di Caraglio
Il grande fotografo americano in una mostra realizzata dalla Fondazione Artea

Nel più antico setificio esistente in Europa, il Filatoio di Caraglio, dove dal XVII al XVIII secolo si fece la fortuna commerciale dello Stato sabaudo, cento scatti
del celebre fotografo americano Steve McCurry sono immersi in uno scenario d’epoca, disposti tra monumentali macchinari funzionanti e produzioni tessili di varie epoche e provenienza.
L’esposizione è realizzata dalla Fondazione Artea: «È un grande onore e un piacere presentare una vasta selezione degli splendidi scatti di Steve McCurry attinenti al mondo del tessile proprio qui, al Filatoio di Caraglio, dove la memoria del suo glorioso passato di “fabbrica della seta” è ancora oggi viva più che mai, dopo quasi 400 anni, afferma Marco Galateri di Genola, presidente della Fondazione Artea. Ad offrire un ulteriore e prezioso contributo alla mostra, una selezione di tessuti storici provenienti da tutto il mondo della collezione Antonio Ratti, imprenditore e mecenate visionario, a cui si deve, tra l’altro, uno dei primi centri specializzati nella ricerca e nel restauro del tessile al Metropolitan Museum di New York».
Curata da Biba Giacchetti in collaborazione com Maddalena Terragni, responsabile della Collezionetessile della Fondazione Antonio Ratti, visibile fino al 29 gennaio, la mostra ha come tema la «Texture», ovvero le trame dei tessuti prodotti in fabbrica o immortalati da McCurry nei suoi innumerevoli viaggi in giro per il mondo. L’abbigliamento non è soltanto una questione estetica e di businness, ma anche, e da sempre, un modo per esprimere la propria identità e appartenenza culturale e religiosa e talvolta persino uno strumento di protesta utilizzato per rivendicare i propri diritti.
In mostra accanto a varie icone di McCurry, come la celebre ragazza afghana Sharbat Gula, vi sono in prestito dalla Fondazione Ratti carte tecniche relative alla produzione tessile, antichi velluti e damaschi cinesi, pannelli ricamati della cultura kuba del Congo, matrici di stampa a riserva giapponesi, velluti turchi, tessuti ikat dell’Asia centrale, coloratissimi indumenti dal centro America e sete settecentesche europee. «Partendo dal rapporto tra l’essere umano e l’apparire visto attraverso l’obiettivo di McCurry, si è creato un dialogo tra i tessuti antichi e le immagini del grande fotografo, in un percorso espositivo che intreccia trama visiva ed emotiva. Si parte da una sezione dedicata alla manifattura e alla produzione che in ogni Paese, per tradizione e disponibilità, si avvale di mezzi e strumenti di realizzazione differenti, pur restando simile nell’approccio manuale e creativo, e si prosegue con una galleria dei più celebri ritratti di McCurry, in cui le persone esprimono con fierezza il loro “essere”, dai ricchi abiti tibetani alle più semplici condizioni degli indumenti dei rifugiati afgani», conclude la curatrice.