Le strategie alternative di Barrada

L’artista franco-marocchina porta alla Kunsthalle di Bielefeld le sue opere più recenti

«Pezzi per la pratica (esercizio di cucito)» (2019), di Yto Barrada. © Yto Barrada, per gentile concessione di Pace Gallery e Sfeir-Semler Gallery Beirut/Amburgo
Francesca Petretto |  | Bielefeld

Frutto di una cooperazione della Kunsthalle con lo Stedelijk Museum di Amsterdam, dal 25 marzo al 3 luglio la mostra «Yto Barrada. Cattive combinazioni di colori» porta a Bielefeld le opere più recenti dell’artista franco-marocchina Yto Barrada (Parigi, 1971), molto nota in Germania a partire dal 2011 quando ricevette il riconoscimento di artista dell’anno da parte della Deutsche Bank.

Quel premio fu per l’allora fresca quarantenne Barrada, che già vantava un’esperienza alla Biennale di Venezia (2007), un vero trampolino di lancio a livello internazionale portandola a molte altre importanti partecipazioni tra mostre collettive e personali nei più importanti musei di arte contemporanea come la Tate Modern e la Whitechapel Gallery di Londra, il newyorkese MoMA, la Renaissance Society di Chicago, il Witte de With di Rotterdam, l’Haus der Kunst di Monaco e il Centre Pompidou di Parigi.

Il titolo di questa sua nuova monografica in Germania («Bad Color Combos», nell’originale) fa riferimento al ruolo fondamentale giocato dal colore nel suo lavoro creativo prevalentemente concentrato sulla produzione di opere multimediali (installazioni, sculture, film, fotografie e opere tessili), in cui l’artista affronta questioni di storia e identità culturale, politica e personale, tra storie di famiglia, tradizioni represse, ecologie femministe e strategie alternative di acquisizione della conoscenza fortemente ancorate alla sua critica profonda del modernismo internazionale.

Barrada vuole sconvolgere le concezioni occidentali dell’arte ed esplorare le problematiche locali della globalizzazione servendosi anche di molti riferimenti ai pittori della Scuola di Casablanca (Mohamed Chebaa, Farid Belkahia e Mohammed Melehi), negli anni Sessanta pionieri del modernismo nordafricano.

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