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Andrea Appiani, «Apoteosi di Napoleone»

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Andrea Appiani, «Apoteosi di Napoleone»

Le memorie di N nelle regge italiane

Le trasformazioni volute dall’imperatore

Andrea Merlotti

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Per l’Italia l’eredità di Napoleone varia a seconda degli Stati in cui era allora divisa la Penisola e la fiera aquila napoleonica può anche assumere le forme d’un feroce avvoltoio per chi la guardi solo attraverso le lenti della depredazione del patrimonio artistico, ma non posso in questa sede affrontare, neppur per sommi capi, un dibattito che si ripropone da oltre due secoli. L’anniversario dei 200 anni dalla morte di colui che volle e seppe farsi sia imperatore dei francesi sia re d’Italia (sottoponendo sempre, è bene ricordarlo, gli interessi di quest’ultima alla Francia) sarà forse occasione per riflettere su colui che per primo ridiede comunque al nostro Paese coscienza del proprio esser Nazione. Fa ben sperare a questo proposito la quantità di libri di cui s’annuncia la prossima uscita.

Per quanto riguarda l’universo di regge e residenze reali, in Italia esso fu fortemente segnato dall’epoca napoleonica. Non v’è quasi importante palazzo che non sia stato in qualche modo modificato, direttamente o indirettamente, da Napoleone, ma in molti casi la storia successiva ha rimosso o nascosto i segni del suo tempo. Si pensi al Quirinale a Roma: qui la memoria napoleonica non è certo la prima ad apparire, ma è ancora ben visibile a chi la sappia cercare. Pur non avendovi mai messo piede, l’imperatore vi ordinò imponenti lavori che ne cambiarono l’aspetto.

Le attuali sale delle dame e della musica, anche se nei nomi rimandano alla successiva epoca sabauda, erano parte dell’appartamento per lui preparato. Le volte dipinte da Felice Giani e Pelagio Palagi, così come lo splendido Fregio di Thorvaldsen (dedicato all’ingresso di Alessandro a Babilonia, metafora di quello, mai avvenuto, di Napoleone a Roma), sono ancora testimoni, per chi sappia leggerne il senso, del sogno romano dell’imperatore. Per realizzare l’appartamento di Maria Luigia fu letteralmente fatta a fette la splendida galleria di Alessandro VI e parte della decorazione allora realizzata sopravvive fra quelle di papi e monarchi sabaudi. Non così, invece, in altre regge che ebbero al loro interno (seppure per poco) il Grande Corso.

A Torino, annessa all’Impero, più nulla resta delle opere allora realizzate nella reggia sabauda. Lo stesso vale per il vicino Palazzo Chiablese, residenza del principe Camillo Borghese (governatore del Piemonte) e di sua moglie Paolina Bonaparte, di cui accolse per alcuni anni il ritratto di Canova. A Venezia resta qualcosa di più, ma comunque poco. La cosa non stupisce considerando quanto tenue sia stata (e resti) la fortuna dell’imperatore e della sua memoria nella capitale lagunare. Nelle sale del Palazzo Reale, che realizzò ex novo, la protagonista oggi è l’imperatrice Sissi.

Differente la sorte nelle regge di Milano e di Monza, in cui la memoria napoleonica è ancora di casa, attenuata, ma non cancellata dai successivi sovrani, Asburgo prima e Savoia poi. D’altronde Napoleone fece di Milano la capitale che non era mai stata, mentre tolse questo rango a Torino e Venezia. Il Palazzo Reale di Milano è stato colpito più di altri da distruzioni: per questo la sua direzione è impegnata in un progetto di recupero, sia materiale sia virtuale, del proprio patrimonio disperso. Un lavoro che potrà trovare una prima resa pubblica nell’ottobre 2022 tramite una mostra sull’arte e la cultura della Lombardia napoleonica. Un bel segnale di quanto sarebbe necessario fare per comprendere e restituire il patrimonio napoleonico del nostro Paese.

Andrea Appiani, «Apoteosi di Napoleone»

Andrea Merlotti, 13 maggio 2021 | © Riproduzione riservata

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