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Valeria Tassinari
Leggi i suoi articoliA chi storce il naso chiedendosi se sia ancora opportuno proporre manifestazioni culturali con un esplicito taglio di genere, basterebbe ricordare la storia della Biennale Donna di Ferrara per dimostrare quanto sia ancora importante andare a fondo sulla questione della creatività femminile. Promossa dall’Udi - Unione Donne Italiane, in collaborazione con le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara e il sostegno della Regione Emilia-Romagna, fin dalla sua prima edizione nel 1984 la manifestazione continua a rivelarsi un vero punto di riferimento internazionale, per impegno sociale e qualità delle proposte.
Nata per valorizzare il lavoro delle donne nell’arte, la Biennale ferrarese si conferma, infatti, un importante momento di riflessione sulla ricerca delle artiste, grazie alla consuetudine di operare ricognizioni attente e mai banali e alla capacità di proporre riflessioni critiche molto nitide, aperte all’indagine su diversi ambiti tematici ed espressivi, ma sempre coerenti con le intenzioni. Quest’anno la rassegna ha trovato una nuova collocazione ideale nella cinquecentesca Palazzina appartenuta a Marfisa d’Este, dama raffinata che fu amante delle arti e amica di letterati come Torquato Tasso.
Per questa XVIII edizione, dal titolo «Attraversare l’immagine. Donne e fotografia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta» che si svolge dal 20 settembre al 22 novembre, il focus è sulle fotografe, individuate con attenzione calibrata in riferimento a un ambito cronologico particolarmente significativo per leggere la trasformazione della società contemporanea, quel cruciale trentennio tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottantache ha visto una vera trasformazione di ruoli e iconografie.
Tra i nomi delle protagoniste (Paola Agosti, Diane Arbus, Letizia Battaglia, Giovanna Borgese, Lisetta Carmi, Carla Cerati, Françoise Demulder, Mari Mahr, Lori Sammartino, Chiara Samugheo, Leena Saraste, Francesca Woodman e Petra Wunderlich) ci sono figure ormai mitiche e identità da riscoprire, tredici personalità molto differenti che raccontano le invenzioni, le avventure, la curiosità e la capacità di analisi dello sguardo femminile sulla società, immortalata mentre cambia intorno alle donne, e spesso proprio grazie a loro.
Una panoramica che parte dalle sperimentazioni della «pioniera» Arbus per chiudere il cerchio con la toccante ricerca intimista di Woodman, attraversando molti generi fotografici, dal reportage di cronaca e di denuncia civile alla straniante bellezza della veduta urbana. La tecnica è sempre altissima, il tono emozionale è eterogeneo ma sempre empatico.
Che siano le tarantate salentine, i lavoratori in sciopero, le rovine di guerre lontane, le conseguenze dell’apartheid o la follia del manicomio, nulla in questi scatti appare mai distante perché «cifra comune di questi sguardi differenti è certamente la sensibilità, racconta la curatrice Angela Madesani, la capacità di essere dentro la visione e mai estranee rispetto al soggetto, qualunque esso sia…».

«Untitled, New York» (1979-80) di Francesca Woodman. © Galleria Massimo Minini