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Gli scarpini di Mohamed Salah in mostra al British Museum

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Gli scarpini di Mohamed Salah in mostra al British Museum

Le crocchette davanti ai gatti imbalsamati

Iniziative non del tutto innocenti per attrarre pubblico nei musei

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Flaminio Gualdoni

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L’hanno celebrato in un museo autorevole, ma la cosa non è che gli abbia portato fortuna, al povero Mohamed Salah: la finale della Champions League non solo l’ha persa, ma s’è pure fatto male e ne ha giocato solo un pezzettino. Salah è un calciatore egiziano, gioca nel Liverpool e a forza di fare gol, 32 per l’esattezza, quest’anno è assurto a molto più del titolo di capocannoniere che gli è spettato nel campionato inglese. È diventato l’oggetto di una mitizzazione assoluta, l’eroe nazionale di un Egitto che altre gran ragioni per gioire, di questi tempi, non ne ha molte e ovviamente di tutti gli egiziani della diaspora sparsi qua e là per l’Europa.

Quindi idolatria tutto l’anno, sino al fatidico giorno 17 maggio in cui è stato addirittura proclamato idealmente erede degli antichi faraoni dal museo per eccellenza, il British, con l’esposizione dei suoi scarpini collocati graziosamente in un’apposita teca tra le pietre millenarie dei suoi antenati. Li hanno messi lì, in bella vista sotto il busto colossale di Ramses II, blu e celesti a luccicare come reperti monumentali della nuova storia.

Guarda caso, lo scatto fotografico diffuso dal museo pare celebrare prima di tutto il brand del fabbricante degli scarpini medesimi, giusto per inacidire ulteriormente tale commistione tra sacro e profano (e i monumenti dei faraoni non sono solo sacri per la storia dell’arte, erano proprio opere sacre) e toglierci ogni dubbio sull’innocenza dell’intento degli organizzatori. A parte i soliti pensieri, che si son fatti quotidiani, sul fatto che ormai i musei pur di far notizia e attrarre pubblico, quindi denaro, a qualsiasi costo, sono disposti ad abbassarsi a ogni compromesso con il potere delle corporation e con l’onnipotenza dei social media (magari tra un po’ nella stessa sezione egizia esporranno nuove confezioni di crocchette davanti ai gatti imbalsamati, chissà), l’iniziativa mi ha fatto ricordare un racconto che, decenni fa, mi fece il grande Eugenio Battisti ai tempi in cui insegnava alla Penn State University.

Perché, si era chiesto insieme ai suoi studenti, tanta gente di estrazione popolare e cultura limitata si riversava nei weekend al Metropolitan di New York? Preparò un questionario e una gran parte delle risposte riguardò una bizzarra ma precisa ragione identitaria: se eri uno sfigato immigrato italiano, greco, tedesco ecc., guardando tutti quei wasp benvestiti che rendevano omaggio ai «tuoi» artisti godevi come un riccio, perché ti sentivi un po’ più aristocratico di loro alla faccia delle tue pezze al culo. Non so se i curatori e quelli del marketing del British abbiano fatto un ragionamento così sofisticato (che è a un dipresso, con tutte le sfumature del caso, quello nobile che ha ispirato al direttore dell’Egizio di Torino Christian Greco iniziative sulle quali ha sproloquiato una marea di fessi parlanti), ma quel ch’è certo è che uno chiaro, e perfettamente pop, l’hanno fatto i produttori dei suddetti scarpini.

«Felice il Paese che non ha bisogno di eroi!», esclama il Galileo di Brecht. Posto che un calciatore possa essere considerato tale, non l’Egitto magari di un Salah eroizzato, ma di testimonial gli scarpini certo sì, hanno sempre bulimicamente bisogno. Poi sfiga vuole che, manco a farlo apposta, pochi giorni dopo ad affossare il trionfo del simbolo del nuovo Egitto, ancorché accasato a Liverpool, sia stato il maledetto Gareth Bale del Real Madrid vincitore, proprio un gallese alto, biondastro e dall’occhio ceruleo: che a ogni buon conto calza scarpe della stessa marca, casomai quelli della sezione celtica vogliano replicare. È proprio vero: la storia, certe volte, non fa il suo dovere.

Gli scarpini di Mohamed Salah in mostra al British Museum

Flaminio Gualdoni, 15 luglio 2018 | © Riproduzione riservata

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