Una veduta dell’allestimento della mostra «Rivoluzione Vedova» all’M9-Museo del ’900. Foto: Vittorio Pavan

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Una veduta dell’allestimento della mostra «Rivoluzione Vedova» all’M9-Museo del ’900. Foto: Vittorio Pavan

La via crucis di Vedova, sacerdote rivoluzionario

All’M9 di Mestre la pittura del maestro veneziano diventa lo strumento per esplorare momenti cruciali della vita politica e sociale del ’900

«Una duplice rivoluzione: quella della pittura, vissuta dall’artista come un vero sacerdozio, e quella che si riferisce al suo impegno sociale e politico»: così Gabriella Belli spiega il significato del titolo dato alla mostra «Rivoluzione Vedova» da lei curata e che la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, con il suo presidente Alfredo Bianchini, ha ideato e progettato e coprodotta con M9-Museo del ’900 di Mestre. È aperta al pubblico fino al 26 novembre al terzo piano, con l’allestimento coinvolgente firmato dallo Studio Alvisi Kirimoto.

«Abbiamo inteso dare un taglio critico nuovo a questa mostra su Emilio Vedova, inserita nel contesto storico di M9 che si affida alla tecnologia per la sua narrazione, continua la curatrice che ci accompagna a scoprire questa esposizione. Con un duplice registro narrativo in continuo dialogo, l’obiettivo era di utilizzare l’arte come uno strumento in grado di esplorare ed evidenziare momenti cruciali della vita politica e sociale del ’900. Momenti a cui Vedova ha preso parte, partecipando alle lotte, alla difesa dei diritti, contro le sopraffazioni e le dittature».

Tre grandi installazioni stanno al centro di quello che Gabriella Belli definisce, con i suoi 1.300 metri quadrati senza colonne, il più bel volume per l’arte contemporanea di tutto il Veneto. «La prima è “Absurdes Berliner Tagebuch ’64” del 1964, realizzata a Berlino dove gli venne dato lo studio che era stato di uno scultore nazista amato da Hitler, spiega Belli. Vedova deve confrontarsi con i fantasmi che aleggiano e compone sette grandi lavori che occupano lo spazio con spigoli, tagli, elementi che si uniscono attraverso cerniere. Non sculture ma contrasti di situazioni con un moto irruente di pathos, dove la pittura di denuncia è forte e vigorosa».

La seconda installazione è «Tondi e Dischi» (1985-95): «Qui Vedova si cimenta con l’idea della classicità, che recupera dandole il connotato dell’instabilità, aggiunge la curatrice. La pittura, seppure energica, è meno aggressiva del lavoro di Berlino, plana con larghe spatolate, ma sempre con forti contrasti cromatici dove il prevalente bianco e nero è acceso da improvvisi tocchi di colore».

«…in continuum, compenetrazioni/traslati ’87/’88» (1987-88) chiude e insieme apre il percorso, così come l’opera stessa non ha inizio né fine: «Le tele sono allestite una sopra l’altra con un ordinamento caotico, in un insieme ricostruito grazie all’aiuto di Fabrizio Gazzarri, a lungo assistente di Vedova, continua Belli. Credo che nessun altro autore abbia realizzato un unicum di tale potenza espressiva, titanico com’era nella sua presa di posizione verso la pittura».

Sulle bianche pareti intorno, una decina di lavori: «Compongono una sorta di via crucis laica attraverso fatti salienti del ’900, in cui Vedova si è immerso nell’evocazione di momenti drammatici della storia del mondo, dalla Spagna di Franco alla Guerra del Golfo. Mentre nella grande pittura resta fermamente astratto e fedele al gesto-materia, nel momento in cui affronta la storia introduce frammenti di realtà, con collage, documenti, oggetti e parole», conclude Gabriella Belli.

Una veduta dell’allestimento della mostra «Rivoluzione Vedova» all’M9-Museo del ’900. Foto: Vittorio Pavan

Camilla Bertoni, 09 maggio 2023 | © Riproduzione riservata

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