Donna Ferrato, «Soweto, Sudafrica», 1998

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Donna Ferrato, «Soweto, Sudafrica», 1998

La vergine e la puttana

Holy, «il libro più importante che abbia mai fatto», è la combinazione dei lavori di Donna Ferrato sul sesso e sulla violenza domestica

Chiara Coronelli

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«Holy è il libro più importante che abbia mai fatto. Parla del potere scatenato delle donne. Di quello che le donne hanno guadagnato negli ultimi cinquant’anni. Della libertà duramente conquistata che le donne stanno perdendo. Del perché l’autonomia di ogni donna è sacrosanta». Dopo cinquant’anni di lotta in difesa dei diritti delle donne, contro la disparità e la violenza di genere, e dopo pietre miliari come Living with the Enemy (che le vale un Eugene Smith Award e viene poi pubblicato da Aperture nel 1991) e Love & Lust (Aperture, New York 2004), la fotografa americana Donna Ferrato (nata nel 1949 a Waltham, Massachussetts) torna in prima linea per dire che la guerra non è vinta.

Lo fa dalle pagine di Holy, il suo ultimo libro, dove ha riunito gli scatti più potenti realizzati fotografando per decenni da un lato la sessualità delle coppie, l’amore nelle sue pieghe più scomode, l’erotismo femminile, e dall’altro l’intimità che sfocia in prevaricazione e abuso, la violenza domestica, l’umiliazione e la paura, fino all’accanimento giudiziario che punisce una madre con la reclusione per avere difeso la propria vita e quella dei figli.

Nel libro le due facce del suo lavoro si saldano, «Nessuno ha catturato meglio l’immagine a 360º del camminare su questa Terra come donna», dice a questo proposito la scrittrice Katherine Holden. «C’è stato un tempo, prosegue, in cui il suo studio delle donne era diviso in due: da una parte il lavoro sulla violenza domestica e dall’altra quello sul sesso. La combinazione delle due cose è vitale, solo così vediamo l’intero spettro, la verità di ciò che è essere una donna. Le contraddizioni che ci si aspetta che incarniamo: la vergine e la puttana, la vulnerabile e l’invincibile, la madre e la figlia».

Da quando nel 1981 assiste quasi per caso a un episodio di aggressione domestica, per Donna Ferrato la fotografia diventa anche attivismo e vocazione politica, strumento per indagare e denunciare la condizione femminile, un tema cui resta fedele dagli anni ’70 fino al movimento del #MeToo e oltre. Tanto che ha confidato, «Ho cominciato Holy perché ero sconvolta dall’elezione di Donald Trump. Non potevo credere che stavamo mettendo il futuro dell’America nelle mani di un uomo che non aveva rispetto per le donne e le persone di colore».

Le 176 pagine di Holy, divise nei tre capitoli Mother, Daughter e Other, sono scandite da immagini accompagnate da brevi testi scritti a mano dall’autrice, a volte stampati direttamente sulle fotografie, che riportano il nome di chi è ritratto, la sua storia, il luogo dello scatto. «L’editing, ci tiene a sottolineare, è stata la parte più importante»: non voleva farne una retrospettiva, ma mostrare il potere dell’identità femminile, «il desiderio delle donne di sopravvivere», e raccontare il perché ha scelto di essere una fotografa. «L’idea che sta dietro a tutte queste storie e la ragione per cui scatto foto, è sempre e solo la spinta a capire chi sono veramente le donne e che cosa vogliono».

Holy
di Donna Ferrato, 176 pp., 175 ill. b/n, PowerHouse Books,
New York 2021, € 42

Donna Ferrato, «Soweto, Sudafrica», 1998

Chiara Coronelli, 13 giugno 2021 | © Riproduzione riservata

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La vergine e la puttana | Chiara Coronelli

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