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Un particolare di «Cristo e la Samaritana al pozzo» (1636-37) di Artemisia Gentileschi, Pisa, Palazzo Blu © Fondazione Pisa. Foto Luca Lupi

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Un particolare di «Cristo e la Samaritana al pozzo» (1636-37) di Artemisia Gentileschi, Pisa, Palazzo Blu © Fondazione Pisa. Foto Luca Lupi

La Samaritana di Artemisia entra nel Blu

Acquisita dalla Fondazione Pisa una tela dalla straordinaria storia documentaria che è stata restaurata prima di essere esposta in Palazzo Blu

Francesco Solinas

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Si è concluso il restauro di un’importante opera di Artemisia Lomi Gentileschi (1593-1654) recentemente acquisita dalla Fondazione Pisa per le raccolte del Museo di Palazzo Blu. Si tratta di «Cristo e la Samaritana al pozzo» che l’artista di origini pisane dipinse a Napoli tra il 1636 e il 1637. Passato nelle raccolte napoletane e siciliane dei nobili Ruffo prima del 1680, il dipinto raggiunse a Palermo la prestigiosa collezione del duca di Sperlinga, dove è rimasto sino al XX secolo.

Identificata da Luciano Arcangeli e presentata al convegno sui Barberini e la cultura europea del Seicento (Roma, 7-11 dicembre 2004), la grande tela (261x203 cm) è stata esposta, con scheda dello stesso Arcangeli, alla monografica che il Palazzo Reale di Milano ha dedicato ad Artemisia Gentileschi nel 2011 a cura di Roberto Contini e di chi scrive.

Artemisia ha descritto l’opera nei dettagli (iconografia e dimensioni) in ben due lettere dell’autunno 1637 indirizzate al cavaliere Cassiano dal Pozzo, il suo illustre estimatore e protettore alla corte di Roma. Tramite il cavaliere, l’artista offriva «Cristo e la Samaritana al Pozzo» ai fratelli cardinali Francesco e Antonio Barberini, nipoti del papa regnante Urbano VIII. La tela rimase però nella bottega napoletana di Artemisia sino a quando fu venduta, probabilmente dopo il ritorno dell’artista da Londra, nella primavera del 1641.

L’opera è rara non solo perché documentata sin dalla sua creazione, come solo alcuni dipinti eseguiti durante il soggiorno fiorentino (1613-20), ma anche perché vanta uno straordinario pedigree collezionistico ricostruito dalle ricerche di Angheli Zalapì negli archivi siciliani. Censita già nel 1680 nell’inventario post mortem dell’imprenditore e uomo d’affari genovese Giovanni Stefano Oneto (circa 1616-80) primo duca di Sperlinga, è stata rintracciata nelle raccolte della famiglia dove è documentata fino al XX secolo.

Nel quadro di Artemisia, l’ardente resa della parabola evangelica di Giovanni (v 4,5-42) riporta inevitabilmente all’intensa religiosità della Riforma cattolica, a quella devotio moderna basata sullo straordinario realismo imposto in pittura da Caravaggio qualche decennio prima. Artemisia interpreta l’incontro con emozionata partecipazione, come un canto all’amore ispirato dalle parole di Cristo: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».

L’attenta pulitura del dipinto è stata affidata a Elisa Todisco, Elena Burchianti ed Enrico Rossi con la preziosa consulenza di Cinzia Pasquali, grande conoscitrice della pittura di Artemisia per aver restaurato molte sue opere. L’intervento ha rivelato una qualità pittorica sbalorditiva liberando il dipinto da vecchie vernici ossidate e da ritocchi debordanti.

Capolavoro della maturità dell’artista, la «Samaritana» del duca di Sperlinga ha rivelato particolari sorprendenti e la firma autografa.
Il dipinto restaurato e un volume di studi a esso dedicato (a cura di Francesco Solinas, Roma, De Luca Editore) vengono presentati il 17 novembre nei saloni di Palazzo Blu.

Francesco Solinas è Maître de Conférences au Collége de France 
 

Un particolare di «Cristo e la Samaritana al pozzo» (1636-37) di Artemisia Gentileschi, Pisa, Palazzo Blu © Fondazione Pisa. Foto Luca Lupi

Francesco Solinas, 15 novembre 2022 | © Riproduzione riservata

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